In apertura Giro d'Italia 2017, 19esima tappa, da San Candido (BZ) a Piancavallo (PN) © Luk Benies/GettyImages
C'è una grande bellezza anche nel ciclismo, e non sono solo il gesto, la prestazione, la sfida ai propri limiti. No, è il Giro d’Italia che si accende. Sono le 38 località di partenza e arrivo (Budapest, Napoli e Verona li hanno entrambi) toccate lungo le 21 tappe e i 3437 chilometri del tracciato. Un effetto che parte dall’Ungheria e attraversa l'Italia, dalla Sicilia al Veneto, da venerdì 6 a domenica 29 maggio, per la 105esima Corsa rosa, di cui Trenitalia è Official Green Carrier.
Da piazza degli Eroi a Budapest, dove le sette colonne ricordano le tribù fondatrici dell’Ungheria, all’Arena di Verona, per la quinta volta teatro dell’ultimo atto del Giro dopo i trionfi di Giovanni Battaglin (1981), Francesco Moser (1984), Ivan Basso (2010) e Richard Carapaz (2019). Non esiste un altro luogo così accogliente come palcoscenico finale: l’anfiteatro romano, il tempio della lirica più famoso al mondo, perché quel giorno il Giro diventa entusiasmante come un concerto.
C’è la voglia di sentire come propria, anche per una parte piccolissima, la corsa della Gazzetta dello Sport che dal 1909 contribuisce alla crescita dell’Italia. Nella Notte rosa, a 100 giorni dal via, ogni città ha esposto un simbolo, come se il Giro le consentisse di presentarsi a testa alta, davanti a tutti. Il Maschio Angioino di Napoli, per esempio, città che ritrova la Corsa rosa dopo nove anni ed era presente già dalla prima edizione nel 1909, con la terza tappa alla Doganella, vialone per Capodichino. Oppure la Lanterna di Genova, che illumina e dà speranza, così come il Ponte Morandi, sul quale passerà la 12esima tappa, icona della memoria per non dimenticare la tragedia del 2018.
Giro d'Italia 2019, decima tappa, da Ravenna a Modena © Fabio Ferrari/LaPresse
Ci sono il patrimonio culturale, i teatri, i castelli. Il Duomo di Parma, i ponti di Calatrava a Reggio Emilia, la chiesetta di Rocca Pietore (BL) ai piedi della Marmolada, la montagna scenario dell’ultimo decisivo arrivo in salita, sabato 28 maggio. Come nel 1998 dominato da Marco Pantani, il gruppo si arrampicherà per 2800 metri tra Malga Ciapela e la Capanna Bill (BL), che è il tratto più duro di tutto il Giro: pendenza media 11,8% e punte del 18%. Omaggio sincero a questa zona del Veneto devastata quattro anni fa dalla tempesta Vaia.
Ci sono l’economia invernale dello sci e il cicloturismo sulle grandi montagne della Valtellina nel giorno più impegnativo della corsa, la tappa che parte da Salò (BS), sul lago di Garda, e presenta la salita del Crocedomini, il passo del Mortirolo (dal versante di Monno) e il Santa Cristina, 5440 metri di dislivello nella terra del vino Sforzato, protagonista della Wine Stage 2022. E c’è un luogo più intimo, quasi sconosciuto al grande pubblico, che la diretta tv porterà in 200 Paesi del mondo e nelle case di 800 milioni di telespettatori: sono i casoni dei pescatori a Marano Lagunare, in provincia di Udine, sinonimo di un’altra sfida alla natura, in questo caso il mare. Il boreto che va così di moda è nato proprio qui, con il pesce povero che rimaneva sul fondo delle barche.
Tutto questo si potrà rivivere con le sette tappe per velocisti, le due cronometro (appena 26 km contro il tempo: mai così pochi dal 1962), i quattro arrivi in salita e quelle sei giornate di media montagna ricche di trabocchetti. Come Potenza, la terza tappa per dislivello dopo Aprica (SO) e il Monte Blockhaus (PE), in una cavalcata che inizierà dal blu del mar Tirreno: da Diamante (CS). Sì, perché se togliamo le crono, su 19 tappe ben nove hanno un dislivello superiore ai tremila metri. E quello totale sfiora i 51mila.
Il ciclista ecuadoriano Richard Carapaz, vincitore al Giro d’Italia 2019, festeggia all’Arena di Verona © Luk Benies/GettyImages
Si parte con tre tappe in Ungheria: la prima in linea, venerdì 6 maggio, da Budapest al Castello di Visegrád, con arrivo su una salitella (5 km al 4,5%); sabato 7, cronometro nel cuore di Budapest; domenica 8 lunga volata sulle sponde del lago Balaton prima del trasferimento in Sicilia. Ci sono quattro campioni che il Giro l’hanno già vinto: Vincenzo Nibali (2013 e 2016), l’olandese Tom Dumoulin (2017), l’ecuadoriano Carapaz (2019), il londinese Tao Geoghegan Hart (2020). Giovani e non, velocisti e gregari, in una sinfonia di ruoli. Perché il ciclismo, sport individuale in cui il corridore pedala da solo, non può fare a meno della squadra: sacrificio, fatica, sofferenza, gioia ed esaltazione da condividere.
Non c’è uno sport così esigente: chiede molto, sempre, e sempre di più. Attorno ai corridori ci sono ora allenatore, preparatore, dietologo, massaggiatore, chiropratico, biomeccanico, psicologo, tattico, nutrizionista, e per migliorare la performance si fanno test in galleria del vento per bici e materiale. Le maglie, per esempio, possono avere anche cinque tipi diversi di tessuto, a seconda delle zone del corpo che devono coprire e in funzione della pressione dell’aria che investe il corridore.
Le biciclette sono un concentrato di tecnologia: il computer di bordo sul manubrio riceve in tempo reale la telemetria, in stile Formula 1, dai sensori presenti nelle pedivelle e il corridore conosce la potenza istantanea in watt di ciascuna gamba, se la pedalata è “rotonda” per una migliore efficienza, il numero di pedalate al minuto, le calorie consumate, e così via. Ormai questi computer sono così evoluti che se avessero una scheda telefonica (vietata dalle regole) consentirebbero di trasformarsi in telefono e ricevere anche le mail. Per non parlare dell’evoluzione delle bici: telai in carbonio di derivazione aeronautica e manubri realizzati dalle stampanti 3D sulla morfologia del corridore.
E poi tutta la parte social, da cui non si può prescindere: bisogna esistere anche “virtualmente”, non solo in realtà. I professionisti, non di rado, ingaggiano specialisti o agenzie per farsi gestire questo ambito. Le squadre sono aziende, hanno oltre un centinaio di dipendenti e spesso sono simboli del potere sportivo degli Stati: Emirati Arabi, Kazakistan, Bahrain, Israele. Gli sponsor sono colossi della grande distribuzione, perché il ciclismo tocca la gente, il popolo (nel senso più nobile del termine): il Giro d’Italia porta sulle strade circa 12 milioni di appassionati, e non si paga il biglietto per applaudire e tifare. Questo spiega perché dal 2016 gli investimenti degli sponsor della corsa organizzata da Rcs Sport siano triplicati. Così come è aumentata l’attenzione all’ambiente, che culmina nel recupero e riciclo dei rifiuti: quelli dei ciclisti in corsa vengono gettati in apposite aree (e non lungo le strade) per essere raccolti.
E poi il valore del Giro. Budapest e l’Ungheria sono la 14esima partenza dall’estero. La sesta dal 2010, a conferma dell’appeal sempre più forte della corsa, ambasciatrice del Made in Italy che vince nel mondo. È davvero lontano il 1965, quando il primo via fuori dai confini italiani scatta a un’ora da Bologna: San Marino. Una gara storica: per la prima volta non ci sono né partenza né arrivo a Milano (un fatto rivoluzionario), viene inserita la Cima Coppi sul passaggio più alto del Giro (lo Stelvio), in carovana arrivano comici come Gino Bramieri. È la corsa della televisione, del Processo alla tappa di Sergio Zavoli, delle interviste in diretta dalla moto: non è un caso che vinca Vittorio Adorni, «il rosa più bello dopo Coppi», come scrive Bruno Raschi sulla Gazzetta, il campione più telegenico e televisivo.
Ogni partenza dall’estero è ricca di significato. Nel 1966, il Giro d’Italia scatta dal Principato di Monaco e ad assistere ci sono il principe Ranieri e la principessa Grace Kelly, l’attrice prediletta da Alfred Hitchcock, la star di Hollywood che aveva preferito l’amore e l’Europa al cinema. Nel 1973 il via da Verviers, in Belgio, non lontano da Liegi, porta un messaggio di amicizia in un’Europa ancora divisa tra frontiere e monete: il percorso tocca sette nazioni. Nel 1974 ecco Città del Vaticano, per celebrare l’Anno Santo e ricordare il fortissimo legame tra i papi e i corridori: Pio XII e Gino Bartali nel 1950, Paolo VI e Felice Gimondi nel 1974.
Il Giro 1996 è uno dei più iconici: è la corsa olimpica, che scatta da Atene per il centenario della Gazzetta e dell’Olimpiade moderna. La partenza avviene ai piedi dell’Acropoli nell’antico stadio Panathinaiko. Così come nel 2018 la Corsa rosa diventa il primo giro fuori dall’Europa: Gerusalemme, Israele, la cronometro inaugurale sotto le mura della Città vecchia. Il Giro nel nome di Bartali, riconosciuto Giusto tra le nazioni per aver salvato centinaia di ebrei durante la Seconda guerra mondiale: Ginettaccio è ricordato con un albero di carrubo nel giardino dello Yad Vashem, il Museo dell’Olocausto a Gerusalemme. Il Giro è memoria, e non dimentica, mai.
Articolo tratto da La Freccia
Per il terzo anno consecutivo Trenitalia è Official Green Carrier della Corsa Rosa, giunta all’edizione numero 105, del Giro-E e delle Grandi classiche. L’azienda del Gruppo FS Italiane è presente con uno spazio espositivo all’arrivo e alla partenza di tutte le tappe del Giro d’Italia.
Il Trofeo senza fine, simbolo della gara ciclistica, è arrivato a Verona il 26 aprile su un Frecciarossa 1000, accompagnato dal Direttore Business AV Pietro Diamantini, dalla giornalista Barbara Pedrotti e dai ciclisti Filippo Ganna e Sonny Colbrelli. Frecciarossa conferma la sua presenza nei grandi eventi sportivi, puntando anche sui servizi di mobilità integrata che lo rendono una scelta green. Un treno Regionale Pop dedicato alla competizione affianca il Giro per tre tappe e trasporta ufficialmente il trofeo, insieme al Direttore Business Regionale Sabrina De Filippis e all’AD di Trenitalia Luigi Corradi.
La collaborazione con la Corsa rosa rafforza il binomio treno-bicicletta, che il Gruppo FS esprime anche con investimenti importanti, come l’imponente rinnovo della flotta dei Regionali e l’attivazione del trasporto bici anche sugli Intercity. Una scelta che consente di offrire ogni giorno ai viaggiatori oltre 20 mila posti per le due ruote sui treni, con punti di ricarica per i passeggeri che salgono con la e-bike.
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