Ci si ritrova a Berlino, indietro di un secolo, tra ballerini, prostitute e uno scrittore. Ma anche costumi colorati, un’orchestra, musica e balli. Arturo Brachetti, che cura anche la regia insieme a Luciano Cannito, e Diana Del Bufalo portano nei teatri italiani il musical Cabaret: sfarzo e bella vita in un mondo che sta per cambiare a causa dell’ascesa del nazismo. La tournée tocca le principali città, da Milano a Genova, da Firenze a Bari, per concludersi il 25 febbraio a Napoli.
La trama del musical?
[A] Lo spettacolo è tratto dall’autobiografia di Christopher Isherwood Addio a Berlino. È una storia vera, diventata un musical nel 1966 e resa famosa dal film del 1972 con Liza Minnelli. È l’ultima notte del 1929, Berlino è una calamita per tantissimi intellettuali, frenetica ed elettrizzante, dove si respira libertà sociale e sessuale. Nel suo soggiorno in città, l’autore conosce una soubrette simpatica e dall’energia dirompente.
E voi come vi siete trovati a lavorare insieme?
[A] Diana interpreta una ragazza solare. È logorroica, disarmante e ironica, come nella vita. Come professionista è mostruosa e ha una voce d’eccezione.
[D] Lui è fantastico. È un amore di uomo. Nel lavoro è uno stacanovista, diversamente da me. Come regista lascia fare con discrezione.
I vostri personaggi chi sono? [A] Il mio è Emcee, un tipo irriverente, folle, libertino e qualunquista. È sicuro di quello che fa, pensa che il cambio politico imminente non lo riguardi.
[D] Io sono Sally Bowles. Una ragazza esuberante, aperta sessualmente, che sembra superficiale ma è una tenerona, si nasconde dietro la spavalderia. In lei metto molto di me stessa.
Arturo, qual è il tuo tocco personale nella regia di Cabaret?
[A] Una macchina scenica che ruota: una giostra che consente di passare, in pochi secondi, dal locale notturno alla pensione e al negozio di frutta. Io e Luciano abbiamo pensato a una versione quasi cinematografica, con ritmi serrati e primi piani resi attraverso una luce mirata sui volti. I numeri del cabaret sono tutti reinventati. È una commedia musicale, ma anche un ottovolante emotivo.
Diana, il rischio del confronto con Liza Minnelli ti ha preoccupata?
[D] È un’attrice che mi fa impazzire, ma io non ci azzecco proprio nulla. So di non poter essere lei e quindi propongo una rappresentazione tutta mia, dianesca.
Nel musical si intravedono anche limitazioni alle libertà personali e comportamenti razzisti contro gli ebrei. Purtroppo, è tutto molto attuale…
[A] Sì, nella trama si respirano libertà e tolleranza, ma c’è anche un’aria di totalitarismi e nazionalismi, quelli che provocano violenza e grandi ferite.
[D] Nella storia ci sono e ci saranno sempre dittature, tempi bui e guerre, sebbene l’umanità si sia evoluta. È un mondo che spesso non accetto. Per questo ho trovato una via di fuga: recitare.
Arturo, a proposito di evasione, sei un notissimo trasformista: l’illusione prevale sulla realtà?
[A] Io sono un maestro del sogno. Quando le cose non vanno bene, invento un mondo parallelo. Ma il teatro è come l’amore: si fa comunque dal vivo.
Diana, tu sei un volto televisivo. Questa è una delle rare volte in cui fai teatro, come ti sei trovata?
[D] Negli anni ho sostenuto tanti provini per i musical, ma nessuno mi prendeva. Invece, circa tre anni fa, Luciano mi ha proposto Sette spose per sette fratelli e poi è arrivato Cabaret. Fare teatro è perfetto: mi piace svegliarmi tardi, di giorno ho tempo per me e la sera recito, canto e ricevo una grande ondata di carica per il mio ego. Chi non vorrebbe fare questo mestiere?
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