In apertura Paolo Fresu foto di Seda

«Quest’anno Time in Jazz è connotato dal sottotitolo Rainbow, nel segno di tutte le diversità, oltre che della condivisione e della pace rappresentata dai suoi colori». Il trombettista Paolo Fresu descrive così il festival che dal 7 al 16 agosto illumina la sua Berchidda, in provincia di Sassari, e altre località del nord della Sardegna. Un evento che esalta la ricchezza delle differenze e non è fatto solo di musica. Ci sono una miriade di eventi collaterali di cinema, letteratura, arte e fotografia, senza dimenticare il progetto parallelo Time to Children, in cui gli artisti della kermesse si relazionano con giovanissimi musicisti in erba, consci dell’importanza di sviluppare la musica durante l’infanzia.

Come è cambiato il festival?

È cresciuto e ha compiuto 35 anni. Quando è nato, c’era un palcoscenico in una piazzetta e qualche centinaio di spettatori, composti da amici e parenti. Si svolgeva i primi di settembre, le temperature erano rigide. Per riscaldare gli animi dei presenti, mio padre portava un bottiglione di acquavite sarda fatta da lui, il filu ferru, per distribuirla a tutti. Prima della pandemia, invece, abbiamo raggiunto circa 35mila presenze in dieci giorni. Ora il palco è molto più grande e si trova nella piazza principale del paese. Mio padre non c’è più, ma quell’idea della distribuzione del filu ferru è idealmente rimasta: la kermesse mantiene artigianalità e attenzione all’ospitalità e al calore umano. Questa cosa non è cambiata nel tempo.

Come sono stati scelti i nomi che prendono parte alla manifestazione?

Ogni anno si pianifica un programma attorno a un tema. Gruppi e artisti devono rispondere alla costruzione tematica di quella edizione. Se abbiamo bisogno di un musicista che è in Nuova Zelanda lo facciamo venire appositamente consci che, se non ci fosse, mancherebbe la nota giusta per il proseguo della composizione della sinfonia. Quest’anno sono particolarmente contento di avere il sassofonista americano Archie Shepp, colonna storica del jazz mondiale, da sempre impegnato anche nella battaglia sociopolitica contro il razzismo.

Paolo Fresu

Paolo Fresu foto di Roberto Sanna

Il Time in Jazz è inaugurato da Tosca. Che cosa canterà?

È consuetudine che il festival si apra all’Agnata, il buen retiro di Fabrizio De André immerso nella natura tra le rocce della Gallura. Come è stato per gli artisti precedenti, Tosca canterà De André a casa di De André e sarà un’emozione enorme. La gente viene all’Agnata in pellegrinaggio per salutare e ricordare uno dei massimi poeti del ‘900. I musicisti sentono questa responsabilità e danno molto di più e il concerto diviene unico e irripetibile.

Tu cosa farai al festival?

Accoglierò gli artisti e sarò presente a tutti gli eventi, introducendoli. Un evento come questo necessita di un’anima e di una voce singola che poi diviene plurale. Infine, chiuderò la kermesse il 16 agosto suonando in duo con la pianista Rita Marcotulli, al tramonto, nella Peschiera di San Teodoro.

Stiamo vivendo un periodo complesso: come può aiutarci la musica?

È un potentissimo strumento per raccontare la bellezza della vita e del mondo, per arricchirci interiormente facendoci scoprire noi stessi e migliorando il rapporto con gli altri. Consumata dal vivo, poi, amplifica le emozioni e ci aiuta a stabilire una relazione con la natura, dalla quale la musica proviene. Vivere tutto questo in un momento così difficile è un privilegio che dovrebbe tramutarsi in un diritto.

Il festival fa parte di una rete che riunisce le kermesse ecosostenibili. Di cosa si tratta?

Siamo stati tra i primi a mettere in atto misure come l’utilizzo di un sistema capace di alimentare i concerti con energia solare. Oggi siamo parte del progetto Jazz Takes the Green che coinvolge 20 rassegne afferite all’associazione I-Jazz rispettando un protocollo di intenti ecosostenibili. Il nostro settore ha mostrato una spiccata sensibilità verso le problematiche del nostro tempo, prendendo chiare posizioni su come la musica possa essere vissuta in chiave di responsabilità sociale.

Dopo 35 anni, se dovessi tirare le somme, come descriveresti questo evento?

È un viaggio. Musicale, creativo, umano, sociale, politico. Un figlio diventato grande, ma che resta sempre nei pensieri serali. Una scommessa da vincere ogni giorno.

Quale?

Quella di credere che anche in un piccolo centro della Sardegna sia possibile costruire un mondo dal quale tutto parte e tutto torna.

Come vedi il futuro del festival?

Radioso. Non potrebbe essere altrimenti quando, dopo la tempesta, si manifesta l’arcobaleno.

Articolo tratto da La Freccia.