Un pianeta con il volto di Katharine Hepburn corredato da un anello che gli orbita intorno. L’immagine tratta dal film (fuori concorso) Viaggio nel crepuscolo di Augusto Contento potrebbe ben riassumere la 78esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. In effetti, buona parte della galassia cinematografica italiana e internazionale è atterrata in Laguna.

Ad aprire le danze è stato quell’extraterrestre di Pedro Almodóvar con il suo Madres paralelas che vede protagonista Penélope Cruz. «Nasco come regista proprio a Venezia nel 1983», ha dichiarato il cineasta spagnolo. «Trentotto anni dopo, sono stato chiamato a inaugurare la Mostra. Non riesco a esprimere la gioia, l’onore e quanto questo rappresenti per me senza cadere nell’autocompiacimento. Sono molto grato al festival per tale riconoscimento e spero di esserne all’altezza».

 

Così è iniziata una vera e propria invasione di divi formato red carpet, pronti a passare per il fuoco incrociato dei fotografi. Tra le pellicole più attese in concorso c’è The power of the dog di Jane Campion, prima donna ad aver vinto la Palma d’oro a Cannes, nel 1993, con il meraviglioso Lezioni di piano. In Laguna porta un drammone con Benedict “Doctor Strange” Cumberbatch e Kirsten Dunst su una faida familiare ambientata in un ranch del Montana. Attesissimo anche La caja di Lorenzo Vigas che, nel 2015, si è portato a casa il Leone d’oro con Ti guardo. Questa volta racconta il viaggio di un adolescente per recuperare i resti del padre, trovati in una fossa comune. Ma l’attenzione è tutta per i cinque titoli italiani in gara.

 

Il nostro Paese, va detto, ha tirato fuori l’artiglieria pesante. A cominciare da Freaks out, opera seconda di Gabriele Mainetti dopo il travolgente successo di Lo chiamavano Jeeg Robot. Al centro della vicenda un manipolo di fenomeni da baraccone, anche se, come ammette il regista, «il progetto nasce da una sfida: ambientare sullo sfondo della pagina più cupa del ‘900 un film che fosse insieme racconto d’avventura, romanzo di formazione e riflessione sulla diversità. Per farlo ci siamo avvicinati alla Roma occupata del 1943 con emozione e rispetto, ma allo stesso tempo abbiamo dato libero sfogo alla fantasia: sono nati così quattro individui unici e irripetibili, protagonisti di una storia più grande di loro». 

Una scena del film Il buco di Michelangelo Frammartino

Chissà cosa ne pensa il Premio Oscar Paolo Sorrentino che ha affidato a Instagram lo svelamento dell’opera in competizione: «Da ragazzi, il futuro ci sembra buio. Barcollanti tra gioie e dolori, ci sentiamo inadeguati. E invece il futuro è là dietro. Bisogna aspettare e cercare. Poi arriva. E sa essere bellissimo. Di questo parla È stata la mano di Dio. Senza trucchi, è la mia storia e, probabilmente, anche la vostra».

 

I fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo, dopo aver raccontato Favolacce, ci portano in America Latina con Elio Germano, per una storia d’amore che «come tutte le storie d’amore è un thriller». Punta al Leone d’oro anche Michelangelo Frammartino con Il buco, su un gruppo di giovani speleologi che, nel 1961, scopre nell’altopiano calabrese l’Abisso del Bifurto, una delle grotte più profonde del mondo. «Per usare un termine cinematografico, potremmo dire che le grotte costituiscono un fuori campo assoluto, anche perché la notte eterna che regna al loro interno sembrerebbe quanto di più ostile alla macchina da presa. Eppure, chi ama il cinema sa bene che il fuori campo, l’invisibile, rappresentano la sua sostanza più profonda», spiega il regista. Anche Mario Martone lancia la sua sfida con Qui rido io, sulla figura di Eduardo Scarpetta, immenso attore comico e commediografo della Napoli dei primi del ‘900: «Per tutta la vita il grande Eduardo De Filippo non volle mai parlare di Scarpetta come padre, ma solo come autore teatrale. Quando suo fratello Peppino lo ritrasse spietatamente in un libro autobiografico, Eduardo gli levò il saluto per sempre. Venne intervistato poco tempo prima di morire da un amico scrittore: “Ormai siamo vecchi, è il momento di poterne parlare, Scarpetta era un padre severo o un padre cattivo?”. La risposta fu, ancora, sempre e solo questa: “Era un grande attore”».

 

Al di là della competizione ufficiale meritano una menzione speciale tre documentari, genere che sta ottenendo sempre più consensi: DeAndré#DeAndré storia di un impiegato, di Roberta Lena, sulla vita del cantautore genovese, Django & Django di Steve Della Casa e Luca Rea, con Quentin Tarantino narratore e la vita del re dei western Sergio Corbucci, Ezio Bosso, le cose che restano di Giorgio Verdelli, che già nella scorsa edizione ha sbalordito tutti grazie al film dedicato a Paolo Conte.

Dopo i premi alla carriera a Roberto Benigni (con tanto di commovente dichiarazione alla moglie e musa Nicoletta Braschi) e Jamie Lee Curtis l’astronave di Venezia è lanciatissima. E chissà che non arrivi anche sul pianeta di Dune, di Denis Villeneuve, attesissimo remake del cult firmato David Lynch con un cast stellare nel quale spicca Timothée Chalamet e Zendaya. Due giovani divi che guardano al futuro, proprio come la kermesse lagunare.