Non rimangono che poche tracce immiserite dell’antica gloria dei navigli milanesi, importanti canali artificiali che collegavano la città al mare Adriatico. A Milano c’erano anche un porto e una darsena, ma i navigli residui è meglio scoprirli con la nebbia, quando si può cogliere l’atmosfera sfumata di un città che non c’è più. Non è stata distrutta: è semplicemente finita sotto terra. Con le barche dei navigli arrivavano in città carbone, legname, marmi (per il Duomo), fieno e perfino bestiame, mentre ripartivano vini, grano, sale e manufatti artigianali. C’erano poi le barche passeggeri che trasportavano gente da Pavia e da dovunque ci fosse un canale collegato. È strano pensare che, prima della perdita delle acque, tutti i milanesi fossero ottimi pescatori. Nati per snellire il traffico impacciato e lentissimo delle strade medievali (e per necessità di difesa), i navigli hanno paradossalmente condizionato lo sviluppo di una città che non possiede neppure un fiume, ma che conserva comunque una sua magia di città acquatica. Se percorrete ripa di Porta Ticinese e via Sforza, non avrete difficoltà a immaginarle costellate di botteghe e osterie, con accanto i Navigli in fermento, ultimo retaggio di un tempo passato.
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