Quante volte in treno succede che, intenti a guardare il passaggio scorrere dal finestrino, questo improvvisamente scompare. Naturale, siamo entrati in galleria. Decisamente impossibile, infatti, non averle incontrate quando si viaggia. Le gallerie, attraverso una perforazione, permettono di transitare attraverso rilievi montuosi o comunque aree, edificate o naturali, che difficilmente avremmo potuto oltrepassare. In Italia, proprio perché la morfologia del nostro territorio è prevalentemente costituita dall’Appennino, ne esistono tantissime. Ma come si costruiscono, ve lo siete mai chiesto?
Le gallerie nascono grazie all’utilizzo delle, cosiddette, “talpe”. Esatto, chiamate come il piccolo e meticoloso mammifero famoso per la sua capacità nello scavare, quelle meccaniche fanno in modo più performante e funzionale la stessa azione per il mondo dei trasporti. Il loro nome tecnico è Tunnel Boring Machine, dove il termine inglese “boring” non ha nulla di noioso perché, in questo, caso significa perforazione. Queste macchine sono dall’elettronica sofisticata, efficienti in profondità, dalle grandi dimensioni ma contemporaneamente maneggevoli, sicure e con elevato livello di confort per gli operatori che dal loro interno guidano lo scavo.
Perforano, anche se sarebbe più corretto usare il verbo “fresare”, con precisione estrema praticamente ogni tipo di roccia, per realizzare, appunto, le gallerie ferroviarie. Andando ancor più nel dettaglio le TBM sono macchine dotate di una testa rotante di scavo a piena sezione, costituita da cutter che sgretolano il terreno; il materiale di scavo viene trasportato all’esterno mediante appositi nastri trasportatori. In altre parole, a seconda della superfice che incontrerà la testa rotante avrà una velocità più o meno rapida e, mentre avanza, è in grado di trasportare sia i detriti fuori da quello che poi diventerà un tunnel, sia di costruire la struttura attorno allo scavo. L’avanzamento avviene con un sistema che può essere costituito da grippers espansi contro la parete di scavo o da martinetti longitudinali che si appoggiano sul rivestimento appena montato, spingendo la macchina in avanti per contrasto.
Sono macchine dalle grandi dimensioni, il diametro può arrivare fino a 20 metri, mentre la lunghezza può toccare i 100 metri. Le TBM tendenzialmente sono le stesse che scavano sia nell’ambito del trasporto ferroviario che in quello stradale. Le prime hanno un diametro generalmente tra i 9 e 13 metri, quelle stradali sono un po’ più grandi. Per quanto riguarda la velocità, invece, si possono raggiungere velocità di avanzamento tra i 5 e i 15 metri al giorno che, in condizioni ottimali, possono arrivare a picchi di circa 30 metri al giorno. Insomma, macchine altamente produttive che, inoltre, con la tecnologia del "continous mining" (un sistema che permette a metà scavo di posizionare parte dei prefabbricati di rivestimento contestualmente all’avanzamento dello scavo) possono ottenere un aumento dell'efficienza di produzione tra il 20-30% rispetto alla tecnologia tradizionale.
Esistono, tendenzialmente, due tipi di TBM. Le “non scudate” che sono applicabili in contesti in cui la qualità della roccia è tale da non richiedere l’applicazione di un supporto ulteriore per permettere lo scavo; si tratta quindi di macchine utilizzate esclusivamente in roccia di buona e ottima qualità. Le TBM “scudate” sono invece equipaggiate da uno scudo cilindrico, all’interno del quale viene installato un elemento che permette di supportare la fase di scavo. Questa tipologia di TBM viene utilizzata quando la qualità della roccia è più morbida o “fresca”. Attualmente le talpe che sono al lavoro per la realizzazione di gallerie a beneficio della rete ferroviaria, gestite da RFI e con la preziosa supervisione tecnica di Italferr, sono otto. Si trovano un po’ sparse per l’Italia: sono presenti in tratte della Campania, Puglia, Sicilia, Toscana e Veneto. I loro nomi sono, invece, Barbara, Aurora, Lucia, Igea, Iris, Margherita, Futura e Marina. Proprio in questi giorni ne sono arrivate altre due, seppur in territorio austriaco e gestite dalla BBT SE (una società per azioni europea), sono Olga e Wilma. Quest’ultime hanno un evidente legame con RFI perché sono finalizzate alla realizzazione della Galleria del Brennero.
La particolarità storica delle TBM è che, quindi, vengono sempre soprannominate con nomi femminili. Oltre a quelle già citate le talpe, nel corso della loro storia, sono state battezzate infatti con nomi costantemente in rosa. Perché questo vezzo? Forse perché quando, nei secoli scorsi si scavava a mano, in miniera alle donne era vietato entrare e chiamandole al femminile è stato un modo per consentire alle donne l’ingresso in quel mondo tipicamente maschile. Un’altra ipotesi, più accreditata, risale al 1500. Si tratterebbe di un omaggio a Santa Barbara, protettrice dei minatori, spesso pregata affinché tenesse tutti al sicuro sottoterra mentre si lavorava.
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