In apertura la Sala Filangieri nell’Archivio di Stato di Napoli ©Archivio di Stato di Napoli

Fondato nel 1808, dal 1845 l’Archivio di Stato di Napoli è ospitato nel convento benedettino dei Santi Severino e Sossio e conquista un fiume di visitatori per la sua concezione innovativa. «Accoglie anche chi non è un ricercatore. E attrae per la bellezza dei luoghi, facendo nascere in chi lo visita la voglia di saperne di più», spiega la direttrice Candida Carrino.

La facciata dell’Archivio di Stato di Napoli ©Archivio di Stato di Napoli

La facciata dell’Archivio di Stato di Napoli ©Archivio di Stato di Napoli

Con le sue 300 sale, suddivise su quattro piani, ospita la più ampia raccolta documentaria dell'Italia meridionale, con volumi, opuscoli, manoscritti, atti ufficiali, pergamene e documenti riguardanti la città di Napoli dal X secolo all'epoca moderna. Qui, fino al 30 gennaio, è allestita anche La Fiera dei balocchi. Mostra del giocattolo antico: circa mille pezzi, alcuni preziosissimi e risalenti ai primi del XVIII secolo, appartenenti alla collezione di Vincenzo Capuano, docente di Storia del giocattolo all’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa. La scenografia dell’esposizione è stata affidata a Donatella Dentice di Accadia che ha esaltato lo splendore degli spazi. Nell’allestimento, bambole storiche, giochi di legno, di latta e da tavolo: qui è rappresentato l’intero universo ludico, treni compresi. Non quelli della modellistica ma, fra legno e latta, ce ne sono alcuni molto evocativi che riportano indietro nel tempo.

La Fiera dei balocchi. Mostra del giocattolo antico all’Archivio di Stato di Napoli ©Leonardo Marciano

La Fiera dei balocchi. Mostra del giocattolo antico all’Archivio di Stato di Napoli ©Leonardo Marciano

Al di là della mostra, l’Archivio di Stato è la “casa delle storie”. Tra le vicende narrate nei suoi immensi cataloghi non potevano certo mancare quelle su rotaie, dato che proprio a Napoli nacque la prima ferrovia d’Italia e qui si trova anche il Museo nazionale ferroviario di Pietrarsa, ex opificio dove vennero montate le prime locomotive italiane. Grazie all’aiuto di un archivista esperto come Lorenzo Terzi, sono emersi tanti documenti riguardanti la genesi della ferrovia italiana, in primis le carte della Casa reale di Borbone. Tutto cominciò 186 anni fa, quando l’ingegnere francese Armando Giuseppe Bayard de la Vingtrie chiese al governo borbonico la possibilità di costruire una linea ferroviaria, la tratta Napoli-Nocera, che avrebbe potuto essere prolungata anche verso San Severino, Salerno, Castellammare e Avellino. L’imprenditore dichiarò di volersi assumere tutti i rischi ma l’idea non ebbe immediata accoglienza. Il suo unico alleato era il potentissimo ministro degli Affari interni, Nicola Santangelo, pur dubbioso riguardo alla reale utilità dell’opera rispetto al miglioramento dei commerci. Il politico pose condizioni alquanto giugulatorie: innanzitutto, Bayard avrebbe dovuto versare 50mila ducati o acquistarne tremila di rendita napoletana a garanzia dell’effettiva esecuzione dei lavori. In caso di suo fallimento, il governo avrebbe avuto così la possibilità di portare a termine i lavori o di usare la cauzione per risarcire i proprietari terrieri danneggiati. A questo si aggiungeva il fatto che i binari non potevano occupare la strada comune esistente e che una commissione ad hoc avrebbe dovuto approvare i progetti, mentre si lasciava a Bayard la libertà di scegliere il percorso migliore.

Candida Carrino, direttrice dell’Archivio di Stato di Napoli ©Mario Laporta

Candida Carrino, direttrice dell’Archivio di Stato di Napoli ©Mario Laporta

L’ingegnere accettò quasi tutte le condizioni proposte dal governo e si impegnò a versare entro quattro mesi la cauzione, da restituirsi in tre tranche, in corrispondenza con l’apertura dei tronchi ferroviari Napoli-Torre Annunziata, Torre Annunziata-Castellammare e Castellammare-Nocera. Ferdinando II, con decreto del 19 giugno 1836, autorizzò così la concessione e il 5 ottobre successivo controfirmò tutti i documenti. Ma solo il 27 marzo 1838 Bayard inoltrò al governo i progetti della ferrovia. Il re, allora, nominò una commissione presieduta dal direttore generale del Corpo di ponti e strade, Carlo Afan de Rivera, che contestò il tracciato della linea, contravvenendo ai patti sottoscritti. Finalmente, il 5 luglio 1838, i progetti furono approvati e l’11 settembre iniziarono i lavori. L’inaugurazione del primo tratto fino a Portici fu prevista inizialmente per il 28 settembre 1839 ma, in realtà, avvenne il 3 ottobre, con partenza alle ore 11, annunciata con tre colpi di cannone dal castello del Carmine. A guidare il convoglio vi erano macchinisti inglesi, a bordo il re e 48 invitati.

Alphonse Bernoud, Stazione Regia, Napoli (1862 circa)

Alphonse Bernoud, Stazione Regia, Napoli (1862 circa)

Le varie sezioni della strada ferrata furono aperte all’esercizio tra il 1839 e il 1844. Nel ‘45 l’ingegnere e architetto barese Emmanuele Melisurgo si candidò come concessionario per la realizzazione della linea delle Puglie. Partendo da Napoli, il tracciato avrebbe messo in comunicazione il Tirreno e l’Adriatico, via Avellino, Ariano Irpino, Lucera, Foggia, Canosa, Barletta, Bari e Brindisi e con quattro diramazioni: Lucera-Termoli, Foggia-Manfredonia, Canosa-Taranto e Brindisi-Lecce- Nardò-Gallipoli.

Il 2 marzo 1846 fu emesso il decreto di concessione della Napoli-Barletta, con facoltà per il concessionario di prolungare la tratta fino a Otranto. Melisurgo, oltre ai 50mila ducati versati, s’impegnò a pagarne altri 350mila in otto mesi, pena la confisca della cauzione e la revoca della concessione. Al momento dell’Unità d’Italia, però, la rete delle strade ferrate si fermava prima di Salerno a sud e poco sopra Caserta a settentrione. Comunque, Giuseppe Garibaldi entrò a Napoli in treno: il condottiero su rotaia.

Articolo tratto da La Freccia di gennaio 2023