Bisognerebbe concedere una parte all’inesplicabile per apprezzare la condotta dell’uomo in un mondo in cui nessuna spiegazione è definitiva», scriveva Joseph Conrad nelle sue memorie. Questa considerazione potrebbe fare da esergo per La parte di Malvasia, romanzo di Gilda Policastro che ha le sembianze di un noir esploso, un garbuglio di voci e investigazioni attorno alla morte di una donna misteriosa come il suo nome: Malvasia. La storia si svolge in un paese, immaginario o forse no, dell’Italia meridionale. Le atmosfere sono molto lontane dai cliché sul Mediterraneo, qui la gente non vuole stare alla luce del sole. Nell’antefatto Malvasia viene notata dagli altri personaggi perché fa una cosa inconsueta: toglie le tende di casa.

Il libro comincia con il gesto di chi leva una copertura. Il motivo dello svelamento sarà poi ripreso e stravolto quasi a ogni pagina, nel tentativo di far emergere lo scandalo occultato in una vicenda che ha tutta l’aria di essere un delitto. Forza di trazione del racconto è l’ossessione di chi narra per la doppiezza, l’ambiguità, le metamorfosi e i travestimenti. I mostri sono sensuali. Il lutto è un rebus. La morte è vitale, la gioia mortifera. Prendersi cura dell’altro è un po’ come metterlo a cuccia: lo si dice con un verbo dialettale, cuttuniare. La stessa Malvasia include possibilità diverse. Figura dionisiaca, al contempo votata al sangue e al sacrificio, si chiama come un vino. È vite, e vita, ed è ammazzata tipo un tralcio spezzato. È la vittima, ma è anche il male – prima sillaba del nome della protagonista – che ispira l’assassinio. 

Policastro ama raccontare per allusioni verbali, La parte di Malvasia è pieno di colpi da scrittrice che diverte divertendosi. La parola «pompa» usata equivocamente in un capitolo ambientato dentro a un cimitero, il ponte «che a dispetto dei suicidi o proprio in ragione di quelli teneva vivo almeno il nome del paese», le «coperte color topo» e i topi «coi baffi e il colore e le dimensioni di una creatura ripugnante», i molari dei vecchi «come birilli nel bowling della carie e della malattia paradontale», i tigli in fiore che «hanno odore di sperma», mentre le telefonate piccanti son fatte di «chiacchiere fatue in quel birignao amantesco ciù ciù e cià cià»: queste sono solo alcune delle chicche dispensate nel corso della narrazione.

Il mistero attorno alla protagonista viene risolto? Vietato svelarlo. Nell’ultima pagina compare un disegno: chiusura elegante per un libro dove ogni cosa si confonde fra tragedia e gioco. L’oscurità che pervade il romanzo fa pensare a una grazia tetra. L’autrice ha scritto un’opera dark che riesce a essere luminosa, a custodire momenti di pietas e di letizia. Come? Perché? Non lo si può spiegare. Questa è appunto la parte dell’inesplicabile, che è anche quella di Malvasia.