In cover Unseen, installazione site specific di Frida Escobedo © Musacchio/Ianniello/Pasqualini
Architettura al femminile: partecipazione, lavoro di gruppo, attenzione all’ambiente. Ma anche rispetto del territorio e proposte innovative per gli spazi sociali. Sono le forme e la sostanza che caratterizzano i talenti delle donne raccontati nell’esposizione Buone nuove, donne in architettura, al Museo nazionale delle arti del XXI secolo (MAXXI) fino all’11 settembre.
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L’allestimento della mostra Buone nuove © Musacchio/Ianniello/Pasqualini
«Una testimonianza importante di come la presenza femminile nell’architettura sia sempre più autorevole. Oltre alla battaglia contro ogni discriminazione e all’impegno verso l’ambiente, la dimensione sociale e l’uguaglianza di genere, le donne affrontano con lungimiranza le sfide del terzo millennio grazie a una sensibilità finissima verso i materiali e alla capacità di combinare tradizione e innovazione e mettere in relazione le diverse discipline. Il nostro museo, laboratorio di futuro progettato da una pioniera tra le archistar come Zaha Hadid, prima donna a vincere il prestigioso Pritzker Prize, è la sede naturale per questa mostra», spiega Giovanna Melandri, presidente della Fondazione MAXXI.
Secondo Elena Tinacci, curatrice della rassegna con Elena Motisi e Pippo Ciorra, «la trasformazione attuale non può prescindere dalle storie delle quasi 90 donne, tra progettiste, critiche, studiose, che con opere, scritti e biografie più o meno epiche hanno tratteggiato il volto femminile della professione a partire dal 1890, anno in cui Signe Hornborg si afferma come prima donna al mondo laureata in architettura».
Un attento lavoro di ricerca d’archivio ha portato alla luce il loro lavoro, un patrimonio molto ricco che era rimasto sommerso. Circa un secolo fa, infatti, il sistema sociale non permetteva alle donne di emergere facilmente. Ci sono riuscite poche pioniere come Lina Bo Bardi, figura significativa del ‘900, o l’americana Denise Scott Brown, classe 1931, conosciuta però più spesso come moglie dell’architetto Robert Venturi.
I curatori della mostra: Elena Tinacci, Pippo Ciorra, Elena Motisi © Musacchio/Ianniello/Pasqualini
Ma l’esposizione punta i riflettori anche su nomi come Norma Merrick Sklarek, la prima afroamericana ad accedere alla professione nel 1954 o Phyllis Lambert, 95 anni, Leone d'oro alla carriera della Biennale Architettura 2014, che è ancora a capo del CCA (Centro Canadese di Architettura), intervistata nella sezione Visioni.
«Contributi importanti», spiega Ciorra, unica quota azzurra tra i curatori, «che si contrappongono allo stereotipo dell’archistar: maschio, bianco, accomodato su una sedia con un sigaro in mano, a capo di un’azienda strutturata in modo gerarchico». La rivalutazione storica delle migliori professioniste del settore si associa alla presentazione del loro contributo in epoca contemporanea, come evidenziato dalle 12 installazioni della sezione Pratiche.
La giapponese Kazuyo Sejima, prima donna a dirigere la Biennale d’architettura di Venezia, presenta in anteprima al MAXXI il suo progetto per il Design Event Center a Puyan, in Cina. Assemble, collettivo multidisciplinare londinese che unisce architettura, arte e design, racconta attraverso un collage di video The Voice of Children, che esplora gli spazi del gioco infantile.
Una sala della mostra Buone nuove, donne in architettura © Musacchio/Ianniello/Pasqualini
«E poi c’è il Grafton Architects, studio di Dublino, fondato nel 1978 da Yvonne Farrel e Shelley McNamara, che si dedica ai luoghi per la formazione dei giovani. Dopo aver progettato la sede dell’Università Bocconi in via Roentgen, a Milano, le due professioniste presentano a Buone nuove quanto realizzato per la Facoltà di Economia di Tolosa, in cemento e mattoni».
Tra le migliori emerge Elizabeth Diller, che presenta al MAXXI l'installazione Bad Press e il grande spazio culturale The Shed a New York. Gli orizzonti spaziano in altre aree del mondo con Mariam Kamara, autrice dell’installazione intima Room for Introspection, una stanza nera in cui affiorano elementi che sottolineano lo stretto rapporto con la sua terra, il Niger.
L’attenzione all’ambiente si nota, invece, nei lavori della danese Dorte Mandrup, che al MAXXI porta il modello in acciaio dell'Ilulissat Icefjord Centre, in Groenlandia, dove si studiano i cambiamenti climatici e i conseguenti rischi della trasformazione ambientale. Un altro esempio è dato da una giovane libanese con studio a Parigi, Lina Ghotmeh, presente alla mostra con Stone Garden, la ristrutturazione di un edificio tra il centro storico e l’area portuale di Beirut danneggiato nel 2020 da un gravissimo incendio. La facciata, in particolare, è stata restaurata completamente a mano, come si faceva secoli fa.
L’architetta libanese Lina Ghotmeh © Musacchio/Ianniello/Pasqualini
E in Italia? «Ci si lamenta che ci sono poche architette, ma tante italiane meritano un posto di rilievo in campo internazionale. Tra le più brave Benedetta Tagliabue, Maria Giuseppina Grasso Cannizzo, la “nomade” Alessandra Cianchetta che lavora tra Parigi e Londra, e le giovani emergenti Francesca Torzo, Lucy Styles e Matilde Cassani, che ha anche allestito la mostra. Sono ragazze di una comunità globale, portatrici di ottimismo», conclude Ciorra. È dedicata ai giovani anche una parte nella sezione Visioni focalizzata sul lavoro di cinque team che, grazie a un progetto europeo, hanno proposto alcune riflessioni su come le questioni di genere possano influire sulla concezione dello spazio.
«La mostra è un paesaggio di volti e di progetti che presenta una geografia culturale multietnica e in continuo mutamento. Particolare attenzione va data all’ultima opera esposta, il progetto Unseen, che analizza il tema del tempo come elemento chiave nelle interazioni umane», spiega infine Motisi, terza curatrice di Buone nuove. L’installazione site specific di Frida Escobedo, infatti, è un meraviglioso arazzo Bauhaus creato negli anni ‘60 da Anni Albers che l’autrice messicana ha ripensato a suo modo, sbrogliandolo, come a dipanare il passato e consolidare così il rapporto tra artigianato e produzione industriale, identità e differenza.
Articolo tratto da La Freccia
L’installazione è esposta all’ADI Design Museum, dal 7 al 13 aprile.
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