In cover, Daniele Vita, Ntuppatedde
Le sante sono sempre donne coraggiose e spiriti liberi, beate nei cieli ma perseguitate in terra. Agata, che nel nome – Agathé – porta con sé la bontà, viene beatificata a 15 anni, dopo essere stata torturata e seviziata fino allo sfinimento. Il proconsole Quinziano, per domare la bellissima giovane che lo respinse con ogni barlume di orgoglio, fede e determinazione, prima tentò di rieducarla, poi la fece a pezzi tagliandole i seni, infine la condannò al rogo. Era il 251 d.C. in una fiorente Catania dell’Impero romano, dove abusi di potere e maschilismo si vestivano di vilipendio alla religione dominante.
Da allora Agata è venerata e adorata, considerata protettrice e patrona della città, invocata in caso di calamità, soprattutto contro il fuoco dell’Etna. Una devozione trasversale e contagiosa, che supera confini geografici e sociali e ogni anno, dal 3 al 5 febbraio, i giorni del martirio, richiama a Catania migliaia di persone da ogni parte del mondo. È la festa religiosa in onore della Santa che nel 2022, a causa dell’emergenza sanitaria in corso, non può essere festeggiata con la consueta spettacolarità.
Carmelo Nicosia, Agata on the road
Ma la Fondazione Oelle Mediterraneo Antico, da un’idea di Ornella Laneri, contribuisce al racconto religioso e popolare di questo rito unico con il progetto Agatha on the road 2022. La mostra, allestita dal 1° febbraio al 6 marzo negli spazi della Gam, presenta il culto della santa attraverso il linguaggio dell’arte.
Fotografie, video e opere di sound art percorrono metaforicamente le strade del capoluogo etneo per mostrare, senza filtri, il legame laico e religioso tra Agata, la città e la popolazione.
Nel percorso espositivo, oltre all’installazione sonora di Michele Spadaro e al documentario di Laneri sul ruolo della donna nella spiritualità delle società antiche, ci sono le foto di Gabriele Diego Bonsangue, Annita Del Zoppo, Carmelo Nicosia, Anna Tusa, Daniele Vita.
Scatti, spesso carichi di pathos, che attestano la relazione millenaria tra l’impavida Santuzza catanese e il suo territorio. E mostrano come un culto devozionale, che tanto ricorda tragiche pagine di cronaca attuale, possa trasformarsi nei secoli in rito sociale e creare comunità.
Articolo tratto da La Freccia
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