Foto di Luna Simoncini

Perché limitarsi agli occhi per godersi un’esperienza estetica? La mostra Toccare la bellezza, alla Mole Vanvitelliana di Ancona fino all’8 marzo, esplora la ricchezza di quest’interrogativo affiancando per la prima volta Bruno Munari e Maria Montessori, due personaggi illustri della cultura moderna che, pur muovendosi in ambiti diversi, si sono posti lo stesso quesito. Dell’artista e designer sono esposte opere e lavori editoriali che testimoniano la forte attenzione al tema della multisensorialità. Della pedagogista, di cui nel 2020 ricorrono i 150 anni dalla nascita, sono presentati sia il modello educativo, sia i materiali inerenti l’educazione sensoriale, in particolare tattile. A organizzare l’iniziativa il Museo tattile statale Omero, un’istituzione unica al mondo dove l’arte si tocca con mano.

Nato da un’esigenza di giustizia sociale e da una frustrazione, come spiega il presidente Aldo Grassini: «Io e mia moglie, Daniela Bottegoni, siamo ciechi ma abbiamo una grande passione per i viaggi. Quando siamo tornati dalla Germania nel 1985 eravamo delusi perché nei musei ci obbligavano a non toccare le opere esposte. Imporlo a persone come noi è come obbligare i vedenti a non vedere. È una questione sociale: se la fruizione dell’arte è un diritto per tutti, come sancisce l’articolo 27 della Dichiarazione universale dei Diritti umani delle Nazioni unite del 1948, non si può a priori escludere una categoria come quella dei ciechi». Così Daniela si è chiesta perché non aprire un luogo dove esporre riproduzioni di grandi capolavori “visibili” per i non vedenti con i loro mezzi: le mani.

E in pochi anni siete passati da un’idea alla realtà.

Abbiamo inaugurato il museo nel 1993 con 19 opere in tre aule scolastiche, nel ’99 è diventato statale e 13 anni dopo si è spostato alla Mole Vanvitelliana. Oggi proponiamo un percorso nella storia della scultura, da quella classica, con dei calchi, a quella contemporanea, con originali, e per l’architettura plastici di monumenti noti. Il nostro è insieme un museo tattile e un museo d’arte, un unicum al mondo. A Madrid c’è un museo tiflologico che punta sui modelli architettonici e sulla storia degli strumenti usati dai ciechi nella lettura e nella scrittura. L’esperienza più vicina alla nostra è ad Atene, ma il museo è così piccolo che neanche i tassisti locali riescono a trovarlo. Da noi è diverso: nel 2018 ci sono stati 35mila visitatori, un incremento del 42% in tre anni. E la maggior parte di loro sono normodotati. 

Daniela Bottegoni e Aldo Grassini

Come si spiega questo successo?

La nostra peculiarità è che non facciamo attività specifiche per non vedenti, ma ci impegniamo a eliminare per tutti ogni tipo di barriera. Il tatto consente a chiunque una percezione della forma che è qualitativamente diversa rispetto a quella visiva. Conoscere una scultura con gli occhi o con le mani non è lo stesso. Così la gente ha ritrovato il piacere di toccare: in quel gesto è insito un rapporto affettivo che, a differenza della vista, elimina ogni distanza tra oggetto e soggetto. Al tocco, però, preferisco la carezza, perché abbiamo bisogno di accarezzare le cose e le persone che amiamo.

Come si svolge la visita?

Alcuni si bendano e poi toccano le opere, per concentrarsi sulle sensazioni non visive. Per molti diventa una situazione ludica, ma consente anche di immedesimarsi nella vita di chi è cieco. Altri preferiscono un’esperienza multisensoriale che coinvolge tatto e vista.

Il tema della fruizione dell’arte attraverso la multisensorialità è quasi secolare. Il nostro riferimento è il Manifesto del Tattilismo pubblicato l’11 gennaio 1921 da Filippo Tommaso Marinetti, il primo tra gli artisti che in modo consapevole sottolinea il valore specifico e autonomo del tatto dal punto di vista tecnico e artistico. La multisensorialità oggi interessa gli autori contemporanei perché contrasta quel concetto secondo cui l’arte è essenzialmente visione. Una concezione dominante per 2.500 anni che risale a Platone, per il quale l’arte è uno strumento indiretto per la contemplazione, attraverso gli occhi della mente e dell’anima, delle idee, parola che etimologicamente significa visione. Tuttavia se si può provare un’autentica emozione attraverso le mani, come si fa a dire che la scultura è arte visiva? È necessario allora recuperare un approccio più totale nell’esperienza estetica, con molteplici strumenti.

Perché avete scelto Montessori e Munari?

Per noi il tatto è il senso principale, ma cerchiamo sempre di valorizzare la multisensorialità, così abbiamo individuato due riferimenti storici che l’hanno anticipata. Montessori non era un’artista, ma un medico, una pedagogista, e ha sottolineato con forza la necessità di educare tutti i sensi, dal punto di vista cognitivo ed estetico. Per Munari il discorso è ancora più ovvio perché si è concentrato su tutti i sensi nel suo lavoro di pedagogista e soprattutto di artista, influenzato anche lui dal Manifesto di Marinetti. Queste due personalità, molto popolari nelle scuole e tra gli educatori, pur essendo diverse tra loro hanno un comune denominatore: l’interesse estetico dimostrato nel loro lavoro.