In apertura, panorama di Trani © e55evu/AdobeStock

Colta da un pizzico di malinconia, Rebecca si affacciò al balcone e prese a contemplare il piccolo golfo della sua città. Ancora una volta il paesaggio le parve uscire dall’anima. In quello storico appartamento di via Statuti Marittimi, Rebecca Ragno ci era vissuta sin dai primi del ‘900. Di origine ebraica, il suo nome significa rete, in senso figurato “colei che avvince con la sua bellezza”. Era una donna libera, eccentrica e moderna, i cui vestiti e cappellini suscitavano molta curiosità tra i bagnanti.

Un secolo dopo, da quel medesimo balcone, ospite nella Residenza Rebecca di Giovanna e Stefano Fuzio, vengo sopraffatto dallo sgargiante biancore di Trani e dal suo mare. In questo contrasto si percepisce una memoria storica importante: la stupenda cattedrale duecentesca che sembra emergere dalla marina adiacente, le altre chiese tardo medievali e romaniche, l’assedio di Roberto il Guiscardo, i privilegi alla città riconosciuti da Federico II, la ricchezza dei commerci cinquecenteschi e l’olio, che viaggiava di porto in porto.

Sono le vere origini di una popolazione a cui non è mancata la forza di subire e soffrire: le uccisioni, i saccheggi e gli incendi del 1799 a opera dei soldati francesi e del turpe generale Jean-Baptiste Broussier; la spavalderia di carbonari e risorgimentali che nella pubblica piazza bruciarono uno stemma austriaco; le bombe e i rastrellamenti nazisti nella primavera del 1943.

Eppure, dopo quelle tragedie, i tranesi rialzarono la testa: lo hanno sempre fatto, per il mare, per le piccole case del centro e per loro stessi. Perché Trani fa eccezione, un punto dell’Italia dove non attecchiscono i luoghi comuni e dove la bellezza e la civiltà del Mediterraneo albergano assieme. Fosse soltanto l’impressione del turista già basterebbe, ma è bene arricchirla di una testimonianza straordinaria.

Il 29 gennaio 1883, nel teatro cittadino di San Ferdinando (distrutto durante il bombardamento del 1943), il grande letterato Francesco De Sanctis tenne un discorso elettorale e pronunciò queste parole: «Mi piace che Trani sia stata chiamata l’Atene delle Puglie, perché tra Atene e i miei studi e la mia vita c’è pure qualche simpatia. Io farò sì che Atene non resti un titulus sine re, un conte senza contea».

In questa sfida si impegnarono gli abitanti, di generazione in generazione, rendendo sempre più unica la loro città. Ci si va e ci si torna, in attesa che il tramonto vada a cadere tra i vicoli e si rifranga sulle facciate dei palazzetti. È puro incanto. È l’eleganza della pietra che racconta storie, è l’armonia delle forme che disegnano un’architettura di terra e di mare. È il miracolo di aver difeso per secoli tutto questo.

La Cattedrale di Trani

Eppure, il piacere di contemplarla non è solo estetico. Ci vogliono i fatti per vivere bene. E in pace. Eccone qualcuno: oltre il 74% di raccolta differenziata, le strade pulite persino in agosto, non una carta buttata via. «E, soprattutto, una città conviviale che è il frutto buono di una lunga esperienza», spiega il sindaco Amedeo Bottaro. «È stata sede di un’importante comunità ebraica ma la “sorpresa” è attiva d’Europa, ci sono una moschea con la sua vivace comunità islamica, una chiesa cristiano-ortodossa e quella Curia arcivescovile che vanta una tradizione di dialogo interreligioso».

È anche una città in ascolto che non per caso ogni settembre, da 21 anni, propone con I dialoghi di Trani una kermesse di libri, autori e idee. Una località che ha dato i suoi natali a personaggi eccellenti come Andrea Gusmai, longevo artista novecentesco e maestro intarsiatore di caratura internazionale, di cui resta celebre un’opera che ritrae Giovanni XXIII, per la quale utilizzò 72mila pezzi di legni policromi montati in un collage miracoloso. Tranese era anche Giovanni Macchia, francesista di livello mondiale che ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Prix Médicis essai nel 1988 e la Legion d’onore nel 1990, ed è stimatissimo oltralpe per la sua monumentale Storia della letteratura francese. Due giganti di una piccola grande città.

In una giornata avvolta dal sole, poi, nel maggio del 1985, tutta Trani scese in strada per guardare da vicino la principessa Diana Spencer e «per ammirare in lei, con silenzioso stupore, il raro dono per una giovane donna di fare tenerezza e insieme essere sexy, quel saper mescolare autentici rossori ottocenteschi a studiate civetterie malandrine». In viaggio con il “suo” Carlo d’Inghilterra, Diana mostrò intera la sua principesca timidezza dinanzi a una folla che sembrava amarla tanto - come si amano angeli sconosciuti - e pronunciò una frase dolce e semplice: «È il posto più bello che abbiamo visto sinora». Trani, la più bella di tutte.

Tre anni dopo, piazza del Duomo ospitò altri due visitatori, Lucio Dalla e Gianni Morandi, per un concerto che sarà memorabile. Una magnifica coppia di musicisti, cantanti e ambasciatori della Bologna creativa che si fondeva nell’arte senza tempo di una città ospitale. A Trani, Morandi tornò 30 anni dopo: sebbene sorridesse come d’abitudine, dal suo volto dinanzi alla cattedrale trapelava il rimpianto di una notte stupenda, di un geniale amico perduto e di un pubblico entusiasta.

Trani fa parte anche del Movimento città slow, che unisce i comuni del buon vivere, ed è un luogo dove si mangia benissimo. Nella centralissima via Lionelli, sono incuriosito da Quintessenza: mi attrae il significato della parola, ossia quelle cinque distillazioni successive grazie a cui un corpo ritorna alla sua essenza originaria, alla sua più intima purezza. E mentre accedo alla sostanza del gusto domando al maître il perché della scelta.

«Nostro padre era un contadino e noi quattro i suoi figli», racconta. «Ciascuno di noi ha risposto ai suoi stimoli: Saverio nelle storie e nelle fantasie dei vini migliori; Alessandro si è laureato in Scienze agrarie, per cui si occupa di orto e panificazione; io mi chiamo Domenico e ho lavorato per anni nelle sale di quattro Paesi europei; e poi c’è Stefano, che inventa e difende i sapori della nostra terra». Sono i fratelli Di Gennaro e se la sono meritata la loro prima stella Michelin. Ormai la notte mi accoglie e lo fa con le parole di Antonio Tabucchi: «Quel luogo ce lo portavamo dentro e un giorno, per caso, ci siamo arrivati». Quel luogo è Trani.

Articolo tratto da La Freccia

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