In tutto il servizio, Simone Barlaam durante gli allenamenti

Bello, atletico, single e con una grande positività. Simone Barlaam, 21 anni, è un nuotatore paralimpico che ha all’attivo sette titoli mondiali, conquistati nelle distanze di 50 e 100 metri in stile libero, dorso e delfino. Questo ragazzo milanese, di quasi due metri di altezza, è nato con un’ipoplasia al femore destro. Dopo aver subito 12 interventi chirurgici ha trovato nello sport «un’opportunità di inclusione» e nell’acqua la sua dimensione, il suo elemento di riscatto: «Ho imparato prima a nuotare che a camminare», dice. Senza mai perdere l’ottimismo e la voglia di scherzare anche quando racconta: «Sono nato conuna gamba più corta dell’altra, come il pesciolino Nemo, il personaggio del cartone animato Disney che aveva una pinna atrofica». Incontriamo Simone appena uscito da un allenamento in piscina, qualche settimana prima di partire per Tokyo, dove parteciperà alle sue prime Paralimpiadi, dal 24 agosto al 5 settembre.

 

Come ti stai preparando?

Di solito mi alleno tre volte al giorno, tranne la domenica, due volte in piscina e una in palestra. Circa sei ore in totale.

 

Ormai manca poco alla tua prima Paralimpiade. Cosa provi?

Sto vivendo giorno per giorno. Gli allenamenti sono sempre più intensi. C’è un mix di tensione ed eccitazione, ma non vedo l’ora di essere lì.

 

I Giochi sono slittati di un anno a causa della pandemia. Come hai vissuto questo spostamento?

Come dice il mio allenatore, vediamo il lato positivo. Almeno adesso abbiamo la possibilità di fare due Paralimpiadi in tre anni, visto che nel 2024 ci saranno quelle di Parigi.

 

Ma questa sarà un’edizione diversa dalle altre.

Sicuramente sottotono, senza feste e assembramenti. Ma, da un certo punto di vista, ancora più particolare. Poter dire io c’ero sarà speciale.

 

Sai già a quali gare parteciperai?

Gareggio sempre sulle distanze corte, 50 e 100 metri, in stile libero, dorso e delfino.

 

Sei mai stato in Giappone?

No, e non vedo l’ora di andarci. È un Paese che mi attira molto: sono un fan dei videogiochi e dei manga, i fumetti giapponesi. Come appassionato d’arte, la trovo una cultura affascinante che mi piacerebbe approfondire.

 

La squadra italiana di nuoto paralimpico è una delle più forti.

A Londra, nel 2019, ci siamo laureati campioni del mondo e siamo cresciuti molto come gruppo. Abbiamo portato avanti un bell’Europeo e vedremo di fare bene anche a Tokyo. Siamo un team giovane e molto affiatato.

 

Davvero hai iniziato prima a nuotare che a camminare?

Sì, ho fatto le mie prime bracciate in piscina a tre mesi, mentre i primi passi sono arrivati a tre anni. E anche oggi penso di cavarmela meglio in acqua che sulla terra ferma, sono sicuramente meno goffo.

 

Cosa significa l’acqua per te?

Grazie a lei ho potuto esprimermi come atleta, trovare una direzione in questo mondo. Da piccolo mi ha permesso di compiere i primi movimenti nella riabilitazione e poi mi ha accompagnato nella vita. Per quanto si possa personalizzare una sostanza come l’acqua, posso dire che sia una mia grande amica. 

Ci vuoi raccontare i problemi che hai avuto alla gamba?

Sono nato con un’ipoplasia congenita al femore destro. Era fragile come il cristallo, alla minima pressione si fratturava. Ho subito 12 interventi chirurgici: il primo a tre giorni di vita e l’ultimo a 13 anni. È stata una maratona fatta di letti di ospedale, prima a Milano e poi a Parigi.

 

Quando è arrivato il nuoto agonistico?

Nel 2012, appena la mia situazione clinica si è stabilizzata, ho iniziato a nuotare senza avere molti stimoli. Tre anni dopo, per puro caso, ho scoperto sul web l’esistenza della Federazione italiana del nuoto paralimpico (Finp) e della Polha Varese, la mia attuale società sportiva. Da lì si è accesa la passione agonistica che mi portato fino a questo punto.

 

Con la tua storia sei un esempio per tanti giovani.

Vorrei che tutti i bimbi con disabilità, congenita o acquisita, non si vergognassero della loro condizione. Dobbiamo essere fieri delle nostre differenze, perché rendono questo mondo un po' più interessante. Alla fine, ognuno di noi è unico e di questo dobbiamo esserne orgogliosi. La disabilità va trasformata in un punto di forza. Tutte le persone ne hanno una, più o meno evidente. C’è chi ha bisogno di occhiali, chi di un apparecchio acustico, chi di una protesi o una sedia a rotelle per camminare. Ognuno ha i suoi difetti e il concetto di umanità li comprende tutti.

 

È vero che da bambino disegnavi squali?

È una passione nata durante i mesi in cui ero bloccato in un letto di ospedale. Non potevo fare niente di stressante, neppure distrarmi con un videogioco perché mi alzava troppo i battiti. Così, ho cominciato a disegnare questi straordinari animali acquatici: mi aiutava a rilassarmi e a viaggiare con la mente. Vorrei andare in Sudafrica, Guadalupe o Messico per vedere di persona gli squali bianchi, i miei preferiti. Mi piacerebbe fare il bagno con loro, protetto dalla gabbia. So che è una cosa folle ma prima o poi voglio provarla.

 

Che sport segui come tifoso?

Mi piacciono un po’ tutti. Durante il quarto anno di liceo, che ho frequentato a Sidney, in Australia, mi sono appassionato all’NBA, il basket americano, e sono un fiero tifoso dei Brooklyn Nets.

 

Oltre a nuotare, frequenti la facoltà di Ingegneria al Politecnico di Milano. Com'è andata con le restrizioni dovute al Covid-19?

Sembrerà strano dirlo, ma il lockdown mi ha aiutato molto nel seguire le lezioni che si svolgevano online. Comunque, è stato un anno tosto e molto impegnativo. L’isolamento forzato ti mette faccia a faccia con te stesso. Per una questione di sicurezza, io non vedo i miei amici da marzo 2020. Incontrarli è una delle prime cose che non vedo l’ora di fare dopo Tokyo.

 

Nella stazione di Roma Termini c’è una tua gigantografia per Ea7 Emporio Armani, che veste il team italiano a Tokyo e di cui sei testimonial. Cosa si prova a scendere dal treno e vedersi in un cartellone pubblicitario?

Non mi è ancora successo ma penso che mi lascerà senza parole, è una cosa da pelle d’oca. Anche se farà comunque molto ridere sia me sia i miei compagni. Per quanto possa sembrare facile, fare il modello è molto complicato, non ero abituato a una cosa del genere, anche se il risultato finale mi piace.

 

Qual è il tuo rapporto con il treno?

Mi muovo spesso con il Frecciarossa, soprattutto quando da Milano devo raggiungere Roma o Napoli. Nei giorni scorsi, l’ho preso insieme alla squadra di nuoto: siamo andati nel capoluogo campano per i campionati italiani. È un mezzo veloce, rispetto alle sei ore che servirebbero in auto, e comodo soprattutto per i miei compagni in carrozzina. In treno mi piace leggere e disegnare gli altri passeggeri o il panorama che vedo fuori dal finestrino.

Articolo tratto da La Freccia di agosto 2021