In cover, Anavilhanas, isole boscose del Rio Negro, Stato di Amazonas, Brasile (2009) © Sebastião Salgado/Contrasto
Il suo immenso territorio tocca nove Paesi, ovvero un terzo del continente sudamericano, e si estende su un’area dieci volte quella della Francia. Si tratta della zona tropicale più grande al mondo, di cui oltre il 60% si trova in Brasile. È la foresta dell’Amazzonia, che il fotografo Sebastião Salgado ha immortalato attraverso sei anni di viaggi, catturando la varietà dei paesaggi e dei popoli che la abitano. L’artista si è stabilito nei villaggi per settimane e ha ritratto con la sua macchina i diversi gruppi etnici, la foresta, i fiumi, le montagne, gli stili di vita. Registrando l’immensa potenza della natura ma cogliendone, allo stesso tempo, la fragilità.
Un viaggio straordinario nella bellezza di un ambiente unico al mondo, i cui custodi, le popolazioni che lo abitano, rischiano l’estinzione. Questo viaggio è diventato la mostra Amazônia, al MAXXI di Roma fino al 13 febbraio 2022. Oltre 200 immagini per l’unica tappa italiana del progetto promosso dal museo in collaborazione con Contrasto.
L’esposizione, curata da Lélia Wanick Salgado, compagna di viaggio e di vita del grande artista, è divisa in due parti. Nella prima le fotografie sono organizzate per ambientazione paesaggistica, con sezioni che vanno dalla foresta vista dall’alto ai grandi fiumi che attraversano il territorio. Si prosegue con la forza, a volte devastante, delle tempeste tropicali e dei rilievi montuosi che definiscono la vita del bacino amazzonico, per finire con Isole nel fiume, l’arcipelago che emerge dalle acque del Rio Negro.
La seconda parte è invece dedicata alle popolazioni indigene come gli Awá-Guajá, che contano solo 450 membri e sono considerati la tribù più minacciata del pianeta, gli Yawanawá, che prima di scomparire hanno ripreso il controllo delle proprie terre, le comunità Yanomami, che vivono in una grande casa comune a forma di anello detta yano. E ancora, gli Ashaninka, situati nello stato di Acre, vicino al confine peruviano, che hanno recentemente ottenuto un risarcimento per la deforestazione perpetrata nelle loro terre, e i Korubo, fra le tribù con meno contatti esterni.
Oltre alle immagini, poste a diverse altezze e presentate in vari formati, la mostra si sviluppa in spazi che ricordano le ocas, tipiche abitazioni indigene, evocando in modo vivido i piccoli e isolati insediamenti umani nel cuore della giungla. Accompagna la visita una traccia audio composta dal musicista francese Jean-Michel Jarre e ispirata ai suoni autentici della foresta, tra il fruscio degli alberi, i versi degli animali e il fragore dell’acqua che cade a picco dalle montagne.
Articolo tratto da La Freccia
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