In apertura: Lisetta Carmi, Genova-Porto (1964) ©Lisetta Carmi-Martini & Ronchetti
Negli anni del boom economico la città di Genova si caratterizzò per un cambiamento radicale della propria identità. Passò dalle ferite lasciate aperte dalla guerra allo sviluppo dell’industrializzazione e dei servizi, acquisendo un volto a tutti gli effetti europeo. Quel periodo di fermento economico, sociale e culturale si riflesse anche nell’ambito dell’arte, dalla pittura all’architettura, dal design alla fotografia, ed è proprio su quest’aspetto che si focalizza la mostra Genova Sessanta, allestita al Teatro del Falcone presso Palazzo Reale fino al 31 luglio.
Andy Warhol, Marilyn (1966) serigrafia, cm 99x99, Collezione privata ©Andrea Daffra
In quell’epoca la brutta pagina scritta dal conflitto mondiale voleva esser presto dimenticata, così Genova iniziò a riempirsi di medie e grandi industrie, a sviluppare il terzo settore e a cambiare la propria configurazione urbanistica, con nuove vie di comunicazione verso l’esterno e quartieri costruiti appositamente per accogliere la forza lavoro proveniente dal sud Italia.
Elio Martinelli, Serpente Lampada da terra, progetto originale per Martinelli Luce (1965)
A uscirne profondamente rinnovato fu anche il mondo della cultura, che si alimentò di una serie di professionisti stranieri, ma stimolò anche le risorse locali. Nel percorso espositivo della mostra, cronologico e tematico, ciò è evidente: le opere di artisti genovesi, come gli scatti dei fotografi Lisetta Carmi e Giorgio Bergami o le tele di Eugenio Carmi, si alternano a disegni di architettura, arredi di design, grafiche pubblicitarie, oggetti industriali, dipinti e sculture di autori che non vi sono nati, ma hanno frequentato la città, dai pittori Lucio Fontana, Andy Warhol e Mimmo Rotella ai designer Vico Magistretti ed Elio Martinelli e agli architetti Gio Ponti, Franco Albini e Angelo Mangiarotti.
Aurelio Caminati, Raffaella Carrà (1972) Genova, Famiglia De Ferrari ©Loredana Ginocchio
Quella che si presenta agli occhi dei visitatori è una vera e propria rivoluzione: negli anni ‘60 aveva tutti i crismi della cronaca, oggi, invece, ha il sapore della storia. Ecco perché è possibile concedersi delle valutazioni obiettive su un’epoca che ha lasciato in eredità molte luci, ma ha tramandato sicuramente anche ombre e contraddizioni, visibili persino a distanza di 60 anni. La mostra non dimentica certo questi aspetti più bui, ma sposta i riflettori sulla potenza rigeneratrice che contraddistinse quel periodo e spinse verso futuri considerati ad ogni modo migliori del passato. Un atteggiamento di fiducia nei confronti dell’avvenire che potrebbe essere adottato anche guardando al più ampio contesto attuale, per ripartire finalmente dalla crisi economica, sanitaria e bellica che sta segnando i nostri giorni.
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