Kurt Cobain and Courtney Love, 1992 © Michael Lavine 2020
I Nirvana li pensi solo nell’Olimpo del rock. Poi incontri occhi trasparenti, volti slavati, barbe incolte, capelli lunghi su jeans strappati.
Nei primi anni ’90 i Nirvana sono ragazzi poco più che ventenni, in certi fermo immagine appaiono quasi in pose declinate alla timidezza. Eppure dopo di loro il rock mondiale non è stato più lo stesso.
In quel tempo, nell’America di Seattle germinano suoni nuovi, accordi di chitarra unplugged, duri, a volte scomposti ma sempre profondamente intrisi di poesia e urgenza. Nasce il grunge, un genere musicale che vuole colmare quel vuoto cosmico di giovani in cerca di punti di riferimento culturali. Dopo il punk londinese ormai storicizzato, i primi movimenti no-global, sempre in bilico tra la diffusione dell’Aids e l’uso di droga.
La mostra fotografica Peterson – Lavine. Come as you are: Kurt Cobain and the Grunge Revolution, a Palazzo Medici Riccardi di Firenze fino al 18 ottobre, racconta a colpi di click e canzoni la storia della scena musicale dei Nirvana che del grunge sono stati gli interpreti più popolari. Una narrazione che parte proprio da quei volti adolescenziali, dai sorrisi indecisi, dai concerti in t-shirt nelle università e, inevitabilmente, dalla biografia sfibrata del suo frontman, Kurt Cobain, simbolo della controcultura americana di fine secolo. «Per raccontare l’avventura di Cobain, dei Nirvana e il grunge abbiamo scelto le fotografie di Michael Lavine e Charles Peterson», spiega Vittoria Mainoldi, curatrice della mostra per Ono arte contemporanea, «non solo perché sono alcune delle più iconiche ma anche perché i loro lavori restituiscono quello che era il clima culturale nella mitica Seattle anni ’90».
Nirvana, 1991 ©Michael Lavine 2020
I leggendari live con i bagni di fan e i backstage in bianco e nero di Peterson lasciano il passo ai ritratti colorati di Lavine, in un percorso espositivo cronologico che dai primissimi lavori della band arriva agli album e ai concerti del successo mondiale, per approdare poi in una sezione dedicata ad altri gruppi della scena musicale di allora.
Ma è Kurt il centro della mostra, sempre lui e la crescente malinconia che accompagna la sua breve biografia. Kurt biondissimo bocca a bocca col microfono, Kurt e le chitarre, Kurt e i maglioni sformati, Kurt coi capelli rosa, Kurt abbracciato all’adorata moglie Courtney Love.
Foto dopo foto il delirio del pubblico, i tour globali e i dischi venduti crescono di pari passo a quel velo di tristezza stampata sul volto del cantante americano.
Sempre più stanco, provato, sopraffatto dalla fama, dalla pressione e dall’eroina. «Sono troppo sensibile», scrive, «ho bisogno di essere un po’ stordito per ritrovare l’entusiasmo che avevo da bambino». Nulla risarcisce quel nichilismo senza fine che lo divora, si presenta ai concerti in carrozzina, sviene, si chiude in clinica mentre la voce è sempre più roca e intensa.
«Non ho più nessuna emozione, è meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente». Sono le ultime parole di Cobain.
L’8 aprile 1994 viene ritrovato esanime nella casa di Seattle. Accanto, un fucile e una lettera di addio.
Il mondo da cui si sente braccato se lo ingoia a 27 anni, l’età dei maledetti del rock e delle icone immortali, per sempre giovani.
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