In cover Untitled (2015). Per tutte le foto Courtesy OstLicht Gallery e Ren Hang Estate

 

«Sono molto felice ed eccitato quando scatto», affermava. «Mi fa sentire un forte senso dell’esistenza. Ma è vero anche il contrario. Quando il mio senso dell’esistenza è forte mi sento molto felice ed eccitato».

 

Le foto di Ren Hang sono un groviglio di poesia e provocazione, sono l’urgenza di raccontare per immagini parti di sé, vitali e indispensabili, come atto estremo di libertà. Il poeta e artista cinese, osteggiato e censurato nel suo Paese per l’esplicita omosessualità e gli scatti di nudo che lì vengono ritenuti pornografia, inaugura la riapertura del Centro Pecci di Prato dopo le restrizioni dovute al Covid-19.

 

«Una grande opportunità per noi», racconta Cristiana Perrella, direttrice dell’avveniristico museo di arte contemporanea e curatrice di Nudi, la mostra che porta per la prima volta in Italia, fino al 23 agosto, i lavori di Hang.

«Nelle 90 foto esposte, provenienti da collezioni internazionali, emergono i temi cardine della sua riflessione artistica», prosegue Perrella, «fragilità dei corpi, sessualità e identità. Aspetti messi in relazione anche con elementi forti, come la città che si sviluppa in verticale, il cemento e i palazzi altissimi di Shangai, o con la natura. Rapporti che quasi minacciano le esili figure ritratte. Li ritengo concetti interessanti da esplorare in questi tempi».

 

Modelli e modelle efebiche, minute, carnagioni lattee che si incontrano, si mischiano, si sovrappongono o si incastrano nella loro nudità espressa, offrono la visione di un mondo che vuol scardinare tabù e pregiudizi sociali per rivendicare l’impellente necessità di esprimere il recondito sé.

Volti impassibili, stanze vuote, pose innaturali, sguardi ingenui che non ispirano trasgressione ma l’essenzialità, anche cruda, della condizione umana. «Nasciamo nudi», affermava l’artista, «io fotografo solo le cose nella loro condizione più naturale», senza veli e senza voler scandalizzare ma per scavalcare preconcetti di un contesto culturale censore.

 

In questa ricerca intima, la natura è un interlocutore importante: cigni, serpenti, pavoni, iguane, pesci ma anche fiori, foglie, ciliegie e piante sono utilizzati come alter ego, evocativo e spiazzante, dei giovani modelli. «L’immagine del cigno che abbiamo scelto per la promozione del progetto descrive bene questo rapporto uomo-natura senza intermediari», sottolinea la curatrice. «Qui l’animale mantiene forte una sua selvatichezza, ha le penne scarmigliate e sembra pronto a scalciare per liberarsi dall’abbraccio della ragazza. Non appare docile e addomesticato, la loro è una relazione che ispira molto fascino ma anche senso del pericolo. E che travalica le culture. In Occidente per esempio, richiama il mito di Leda e il cigno», prosegue. «Il lavoro di Hang offre una lettura universale. Mantiene un codice colore che rimanda alla Cina con il bianco della pelle, il rosso lacca di bocche e unghie, il nero dei capelli, ma che offre anche letture trasversali ad altre culture».

Immagini poetiche e inquiete, finestre aperte sulla libertà e l’autodeterminazione di essere come si è e di denudarsi di fronte agli altri. Il lavoro di Ren Hang racconta una generazione diversa da quella che l’ha preceduta, che si ribella e inneggia a un innato istinto di emancipazione.

Esploratore della vita e della morte, Ren se ne è andato prematuramente, suicida a 30 anni. Diventando leggenda come quel cigno non addomesticato e portatore di una forte carica di esistenza. 

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