Illustrazione di Chiara Fagioli

Se esiste una regola non scritta dei viaggi in treno è che mai e poi mai si siederanno vicino a te belle ragazze. Eppure le vedi quasi sempre camminare al tuo fianco fino al momento finale in cui ine­sorabili si avviano verso un altro vagone. Ci sono anche casi in cui arrivi a vederle avanzare fino a metà carrozza, la tua, e poi veloci sgattaiolare due o tre posti avanti a te. Tutto questo nello stesso istante in cui ti rendi conto che passerai qualche ora in compagnia di un vecchietto con la bronchite, un tizio più largo che alto che occuperà anche metà del tuo spazio oppure, dulcis in fundo, di una mamma con bambino spiritato. Seguirà un tempo che apparirà infinito e fatto di «Ma Luca... non si fa» da parte sua e sorrisetti di circostanza da parte tua mentre ricevi nell’ordine: uno schizzo di Coca Cola sparato a cerbottana dalla cannuccia, due calci su­gli stinchi e una proposta molto decisa di sfida a braccio di ferro. Sfida in cui, andando contro l’istinto killer di trasformarti in Stal­lone nella scena finale di Over the top, dovrai anche farlo vincere. Con Simonetta andò tutto diversamente. La individuai alzando gli occhi da un pessimo romanzo comprato per colpa del titolo alla stazione. Avanzava con fare sicuro. La borsetta appoggiata al pol­so, i capelli biondi raccolti. Altissima. Prima di lei una signora a cui mancavano almeno quattro diottrie che si fermava continuamente a controllare il numero di sedile, dietro di lei un nerd con delle cuffie stereo più grandi della testa. Riabbassai gli occhi sconsolato, sapen­do che non avrei trovato conforto neanche nella lettura. Li rialzai qualche istante dopo per avere la conferma che la signora avesse finalmente trovato il suo posto nel mondo, vicino a me. Incrociai invece quelli di Simonetta. Azzurri. «Ti spiace», disse, mostrandomi la giacca che avevo disordinatamente lasciato sul sedile accanto al mio. Esitai per un attimo, imbambolato, capendo che avrei fatto una fatica enorme a non lasciar cadere costantemente l’occhio sulle sue gambe. Lo realizzai mentre si stiracchiava, inarcando la schiena in un modo tutto suo, un modo sensuale. Avete presente l’amore a prima vista? Be’ niente di tutto questo, ma qualcosa che si avvicina molto. «Ti spiace», disse di nuovo, mentre attaccava il cavo del telefonino alla presa. Il treno prese a camminare nel momento stesso in cui accavallò le gambe e mi chiese se potevo prestarle gli auricola­ri, visto che non li usavo, e distese la mano. «Simonetta», disse. «Leo», risposi e quasi senza rendermene conto: «Dove vai?». E lei: «Roma». «Meno male» considerai ad alta voce, strappandole un sor­riso. Scosse la testa e si mise le cuffie, continuando a tratti a sorri­dere e a guardare verso di me. Chissà, inavvertitamente, forse non me l’ero giocata così male. E poi c’è ancora qualcuno che dice che in treno non si fanno mai incontri interessanti.

 

Giulio Perrone ha fondato la casa editrice che porta il suo nome. Insegna Gestione dell'impresa editoriale alla Sapienza di Roma. Con Rizzoli ha pubblicato i romanzi L'esatto contrario (2015) e Consigli pratici per uccidere mia suocera (2017).