Foto © Chiara Calabrò
«Ho deciso di fermarmi col cinema e sto girando l’Italia con una tournée teatrale che mi porta a prendere spesso il treno». Edoardo Leo parla dell’avventura in corso con lo spettacolo Ti racconto una storia, un reading in cui è protagonista assoluto, che lo terrà impegnato in palcoscenico fino al 14 aprile.
Una scelta, quella di allontanarsi (solo momentaneamente) dal grande schermo, maturata dopo successi come Smetto quando voglio, Perfetti sconosciuti, La dea fortuna, Era ora e Lasciarsi un giorno a Roma (di cui è anche regista). Senza contare che, dal 21 novembre, l’artista romano presta pure la voce a [c]Leo[/c] nell’omonimo cartoon di Netflix.
Partiamo dal tour di Ti racconto una storia, che sembra non finire mai.
Porto in scena questo spettacolo da sette anni: è un contenitore completamente cambiato. Data dopo data modifico le storie, anche in base alle città in cui mi esibisco. Raccolgo racconti e li scrivo in treno: sono tutti testi miei. Ho deciso di fare questo gran finale dello show con una tournée lunghissima partita a ottobre dal Teatro Petruzzelli di Bari. Chiudo a Roma il 14 aprile, ma ci torno anche per uno speciale di Capodanno il 31 dicembre, all’Auditorium Parco della musica.
Negli ultimi anni molti teatri hanno chiuso e diverse strutture sono ormai abbandonate. Che ne pensi?
Nonostante stiano abbassando il sipario strutture importanti, la richiesta di spettacoli dal vivo è fortissima. Motivo per cui noi artisti siamo costretti a girare il Paese. Il teatro ha una funzione sociale: è una chiesa laica dove una comunità si incontra per ridere e piangere insieme. Personalmente, è un modo per guardare le persone in faccia e parlare con loro. E anche un aiuto per farmi venire in mente nuove storie.
È a rischio abbattimento anche il Globe Theatre di Roma, inagibile da oltre un anno, fondato da Gigi Proietti.
Sono molto legato alla sua famiglia: l’ultima intervista a Gigi l’ho fatta io, proprio dentro al Globe, per il documentario Luigi Proietti detto Gigi. Con l’aiuto dell’Unione nazionale interpreti del teatro e dell’audiovisivo farò tutto il possibile e anche di più per non fare chiudere quel luogo di aggregazione. Proietti ci ha regalato un luogo dove incontrarsi: il Globe ha consentito a molti ragazzi di riscoprire Shakespeare.
Torniamo a te: perché hai deciso di frenare sul cinema?
Vengo da anni molto belli. Dopo le riprese dalla fiction Rai Il clandestino, volevo respirare e riappropriarmi del senso primordiale del mio lavoro: il teatro. Ti racconto una storia è un buon allenamento, almeno la metà dello spettacolo è frutto di improvvisazione. È stata una scelta rigenerativa: ero scarico dal punto di vista emotivo, volevo ripartire da me.
Sul palco parli anche di attualità?
Il compito degli artisti non è sempre quello di alleggerire, bisogna anche raccontare in maniera critica la realtà intorno a noi. Partendo da una singola storia si possono fare considerazioni politiche e culturali. L’attualità mi serve per parlare di anime tormentate, gli esseri umani mi incuriosiscono.
Che cosa ti interessa maggiormente?
La capacità di risorgere dopo un fallimento, la caduta usata come trampolino per una rinascita, la scintilla che ci proietta più in alto. Tutte cose che ho attraversato nella mia vita e ho usato per emanciparmi.
Quante volte sei rinato?
Parecchie. Ho avuto successo superati i 40. In 30 anni di gavetta, le cose belle sono accadute negli ultimi otto. Il resto del tempo è stato composto soprattutto da fatica, disciplina, momenti di caduta e sconforto assoluto. Ne parlo anche nello spettacolo: nonostante sia riservato, lì racconto la mia vita, è l’unica situazione in cui mi metto a nudo. Non voglio insegnare niente, ma se qualcuno impara qualcosa dal mio percorso per me è un orgoglio enorme.
Tratti anche il tema dell’ecologia?
Certo. Abbiamo tardato troppo a prendere in mano questi temi, non possiamo mettere la testa sotto la sabbia. Parlo dei cambiamenti climatici, della natura e di come ci siamo improvvisati maestri d’orchestra in una cosa troppo più grande di noi.
Questa estate al 77esimo Locarno Film Festival hai presentato il film Non sono quello che sono, rivisitazione dell’Otello di Shakespeare, di cui sei anche regista. Di cosa parla?
La pellicola sarà nelle sale i primi mesi del 2024 e affronta il tema della violenza di genere: abbiamo superato le 80 donne uccise dall’inizio dell’anno. Un grande classico come l’Otello parla, a tutti gli effetti, di un femminicidio. Il rapporto col patriarcato e la nostra mascolinità tossica sono un triste modello per tragedie che ancora accadono.
Edoardo Leo, mentre doppia il film d'animazione Leo © Luca Dammicco
Com’è stato accolto il film?
Uno dei momenti professionali più belli, con ottomila persone a riempire la piazza Grande di Locarno. Ho percepito quanto questo lavoro, violento e brutale nei confronti dei sentimenti, sia arrivato al pubblico. C’era un silenzio irreale, uno dei più belli a cui mi sia capitato di assistere.
Dopo Il Re Leone, nel quale doppiavi il suricato Timon, dal 21 novembre, su Netflix, sei la lucertola Leo.
Questa volta non canterò Hakuna Matata, ma darò voce a un animale anziano: convinto di essere alla fine della vita, cerca di aiutare i bambini in difficoltà.
Qualcosa che ancora non hai fatto?
Stiamo lavorando su una grande coproduzione internazionale in cui sarò anche regista. E poi mi piacerebbe essere diretto da cineasti italiani che stimo come Paolo Virzì, Gabriele Salvatores e Mario Martone.
Oggi come ti definiresti?
Quando si prova a farlo si finisce per descrivere come si vorrebbe essere non come si è realmente. Il mio modo per definirmi è raccontarmi: un viaggio che continua per tutta la vita.
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