In apertura, Celeste Cescutti in una scena del film Piccolo corpo © Mitja Licen

Ha gli occhi luminosi come fanali, vivaci e profondi, al tempo stesso riflessivi e attenti come la sua mente, che vola libera nel descrivere ciò che più ama e sa fare con enorme talento: raccontare storie. Onirico e meraviglioso è il suo film Piccolo corpo, che le è valso il David di Donatello come Miglior regista esordiente. Incontro Laura Samani, 33 anni, alla stazione di Trieste Centrale: «Sono cresciuta in questa città, che sento mia. Noi triestini, prima o poi, ci ritorniamo sempre», dice prima di partire per Roma, dove vive ora.

Te l’aspettavi di arrivare subito al David di Donatello?

No (risponde ridendo, ndr). Cioè, una parte di me ci sperava, forse perché siamo educati a pensare che si debba sempre vincere qualcosa. In realtà, per me è stato importante soprattutto girare il film e riuscire a portarlo a termine. A due settimane dall’inizio delle riprese ci siamo dovuti fermare per otto mesi a causa della pandemia. Durante il primo lockdown abbiamo fatto un po’ i conti con la purezza della volontà. Successivamente abbiamo avuto altri due stop. Non è stato semplice.

Cosa vi ha permesso di riprendere ogni volta la lavorazione con la medesima volontà?

Una buona amministrazione economica e la squadra che mi ha dato la forza e la convinzione di ripartire, dicendo: «Noi ci siamo». A costo di apparire retorica, la troupe è stata davvero una grande famiglia. Era la mia prima regia e collaboratrici e collaboratori mi hanno insegnato cosa significa lavorare in collettività. Alcuni di loro sono stati anche miei compagni di studi al Centro sperimentale di cinematografia, a Roma.

Laura Samani

Laura Samani © Margherita Panizon

Sullo schermo cosa hai portato di tuo?

Innanzitutto la mia terra, il Friuli Venezia Giulia. In Agata, il personaggio protagonista interpretato da Celeste Cescutti, c’è molto di me. Non me ne sono resa conto durante la scrittura o la lavorazione, ma dopo ho capito che in qualche modo ha avviato dentro di me un processo di cura. La sua incapacità di separarsi da ciò che ama è qualcosa che mi apparteneva.

Il profondo Nord che rappresenti nel film pare molto simile al profondo Sud.

Le storie si assomigliano ovunque. Poi si utilizzano strumenti diversi per raccontarle. Se penso alla questione del realismo magico, per esempio, mi accorgo che in Friuli si sono mantenute tradizioni molto simili a quelle del Sud, in particolare della Puglia. Un libro dell’antropologo Ernesto De Martino, Sud e magia, indaga questi riti scaramantici e apotropaici. Da noi ha fatto qualcosa del genere lo studioso di folclore Valentino Ostermann. Entrambe le tradizioni pensano di poter influenzare la natura compiendo dei riti, una sorta di baratto che ha più a che fare con la magia che con la religione.

Accanto ad Agata vi è un secondo personaggio molto introspettivo.

Lince, interpretato da Ondina Quadri. Mi rendo conto che le persone, a seconda della fase della vita in cui sono e dell’eredità che hanno, e non conta il motivo, lo interpretano in maniera diversa. È questa la grandezza del personaggio, che consente di proiettare su di lui qualcosa di personale. Nella prima stesura non c’era, poi con Elisa Dondi e Marco Borromei, autori con me della sceneggiatura, ci siamo resi conto che volevamo fare un buddy movie, un genere di film che vede due personaggi che all’inizio non si piacciono e non si fidano, ma poi hanno bisogno di qualcosa l’uno dall’altro. Abbiamo costruito un chiasmo tra i due protagonisti con archetipi femminili e maschili. Lince si traveste, si nasconde e vive nei boschi negando la sua femminilità, perché ha capito che il mondo è più facile se sei maschio. È una guerriera, come la principessa Mulan di Disney.

La regista Laura Samani

La regista Laura Samani

Un film potente e profondo. C’è spazio in Italia per questo cinema, al di là delle logiche di mercato?

Apparentemente sì. Credo molto nell’egoismo sano, ovvero capire che cosa vuoi dire e parlare per te stessa. È l’unica maniera per entrare in contatto con la propria verità, liberarsi e stabilire una relazione con altre persone in modo collettivo. È importante tenersi stretti tra simili e allargare piano piano il cerchio.

Sei sempre così determinata?

Sono assertiva, mi hanno cresciuta con la libertà di scegliere che cosa fare nella vita. Un po’ come capita ai maschi. Alle ragazze non succede spesso di poter coltivare i propri interessi senza restrizioni. Un atteggiamento che mi ha dato forza.

Oltre al David di Donatello con Piccolo corpo hai ottenuto il Premio Flaiano. Ora hai l’ansia da prestazione?

Mi viene solo quando mi fanno questa domanda. In realtà non ho un’agenda per i prossimi decenni, ma so quale sarà il prossimo progetto, lo sto scrivendo. Sarà ambientato a Trieste: è la prima volta che giro un film nella mia città e sono contentissima. La storia si svolge in un periodo più recente rispetto alla mia ultima pellicola e i protagonisti sono gli adolescenti.

Quale reazione al tuo film ti ha colpito di più?

Vedere le persone che si commuovono. Mi commuovo anch’io.

Che sentimento ti ispira viaggiare in treno?

Durante il mio periodo di studio a Pisa, ho passato più tempo in treno che sulla terraferma. Mi piace moltissimo, soprattutto quando lo prendo per tornare a Trieste: dopo Monfalcone c’è una curva, poi l’ultima galleria e ti si apre il mare sotto. Commovente. E poi in treno mi prendo il mio tempo e guardo dal finestrino la pellicola di immagini che scorre.

Andrea Radic con Samani

Andrea Radic con Samani

A chi vuole fare il tuo mestiere cosa ti senti di dire?

Consiglio di trovare persone con cui condividere un immaginario, riconoscersi tra simili e iniziare a lavorare insieme. All’inizio su progetti più piccoli come i cortometraggi. Io ho seguito un percorso canonico: università, accademia di formazione e poi il primo film. Ci sono mille modi per arrivarci ma l’importanza maggiore va data alla squadra, alle persone che hai accanto.

Dove hai messo la statuetta del David di Donatello?

Ce l’hanno i miei genitori.

Cosa non sopporti nelle persone e cosa apprezzi di più?

Mi piace molto la sincerità, mi avvicino a chi la dimostra. Poi, anche se è démodé, apprezzo la cortesia. Non sopporto gli atteggiamenti violenti di qualsivoglia natura, anche verbali. Mi immobilizzo, reagisco come un opossum.

Nel tuo film ci sono paesaggi straordinari della terra friulana. Come li hai scelti?

Attraverso una ricerca delle location durata quasi due anni che ho condotto personalmente per appropriarmi dei luoghi.

Che bambina sei stata?

Curiosa, molto chiacchierona, direi assertiva già all’epoca. Ma ero anche piuttosto buffa.

Il profumo della tua infanzia?

I fiori d’arancio e il mughetto. Ho passato tantissimo tempo all’aria aperta, nei campi e nei boschi della campagna friulana.

Una bambina chiacchierona diventata regista di un film dai grandi silenzi.

Non c’è analogia. Qui da noi si dice: «In Friuli si prega in silenzio».

Articolo tratto da La Freccia