In apertura, Riccardo Scamarcio nel film L’ombra di Caravaggio © Luisa Carcavale
Genio al di sopra dell’immaginazione, creatore di opere piene di fascino, ma anche oggetto di invidia, rancore e odio. Credente e blasfemo, perverso e sensibile. A suo agio tra i pennelli e i colori ma anche per le strade putride, nelle carceri o nei bordelli stracolmi di prostitute e ipocriti signori, ambienti miserabili capaci di ispirarlo nel suo lavoro di artista. Infine, accolto nei palazzi papali e idolatrato, di nascosto, da cardinali ed ecclesiastici.
È Michelangelo Merisi, dai suoi contemporanei chiamato Michele, detto Caravaggio, nato a Milano nel 1571 e morto a Porto Ercole (GR) nel 1610. Così lo ritrae sul grande schermo Michele Placido, regista e sceneggiatore del film L’ombra di Caravaggio, in cui è anche attore nel ruolo del cardinale Del Monte, pellicola che viene presentata alla Festa del cinema di Roma il 18 ottobre e arriva nelle sale il 3 novembre.
Michele Placido con Riccardo Scamarcio nel film L’ombra di Caravaggio © Luisa Carcavale
A indossare i costumi del pittore è Riccardo Scamarcio, affiancato da un cast di alto livello: Isabelle Huppert, nelle vesti di Costanza Colonna, nobildonna che si prese cura di Michelangelo fin da bambino; Louis Garrel, l’unica figura inventata nel racconto visivo; Micaela Ramazzotti che interpreta Lena, una delle modelle tanto care all’artista. E poi Alessandro Haber, Vinicio Marchioni, Moni Ovadia, Gianfranco Gallo.
Le ambientazioni sontuose, ricche di particolari, sono volutamente simili a un set. Come quelli che Caravaggio pensava, simulava e poi realizzava – quasi come un regista – rendendo sulla tela una visione forte e, in alcuni casi, violenta, senza mediazioni.
Anche di se stesso, come nel caso del dipinto David con la testa di Golia, conservato alla Galleria Borghese di Roma, in cui il suo viso ferito è ritratto due volte, come quello del giovane assassino e della sua vittima, il gigante.
Riccardo Scamarcio nel film L’ombra di Caravaggio © Luisa Carcavale
Nel film, prodotto da Federica Luna Vincenti per Goldenart Production con Rai Cinema, non mancano richiami ad altre figure storiche e controcorrente, come Filippo Neri (Moni Ovadia), fondatore della Confraternita dei pellegrini e dei convalescenti nella chiesa romana di Santa Maria alla Navicella, considerato un luogo di raduno per sovversivi. Nella trama emerge anche il filosofo Giordano Bruno (Gianfranco Gallo), condannato a morte dal papato, o la pittrice Artemisia Gentileschi, eccezione femminile tra gli artisti uomini seguaci del Caravaggio.
È un mondo di chiaroscuri e ambiguità, dove il confine tra il bene e il male è sottile, in cui chi va controcorrente rischia tutto, anche la vita. «Ma diventa anche immortale, come Caravaggio», sottolinea Scamarcio, soddisfatto per aver potuto interpretare un genio (dopo il ruolo del designer nel film Quasi orfano, al cinema dal 6 ottobre).
Riccardo Scamarcio e Micaela Ramazzotti © Luisa Carcavale
Come sei stato scelto per la parte?
Diversi anni fa Placido mi confidò il forte desiderio di raccontare la vita di questo artista, non dal punto di vista del pittore ma come uomo. Voleva narrare il suo modo di essere. Era entusiasta anche pensando alle analogie che ci potevano essere tra questa personalità e alcune figure del presente. Ho colto nei suoi occhi vivaci una motivazione forte, come se volesse rappresentare la biografia di una pop star, tipo Elvis Presley e Freddie Mercury, o – aggiungerei io – un Maradona delle arti figurative. Bisogna ricordarsi che all’epoca di Caravaggio non c’erano certo la radio, la televisione, la fotografia o il cinema: a quei tempi, la pittura era lo show business di oggi, portava fama e successo. E Merisi aveva un talento pazzesco, ma nello stesso tempo era un animale non addomesticabile. Talmente eccezionale e non gestibile che i suoi committenti hanno dovuto farlo fuori. E per secoli gli è stata negata anche l’attribuzione di molte opere, riconosciute a sua firma solo nel ‘900, cioè 300 anni dopo.
Qual è stata la sua straordinarietà secondo te?
Prendeva dalla strada uomini comuni, usava frequentatori di bagordi per farne soggetti delle sue tele o poveri per rappresentare santi, come nel caso della Crocifissione di San Pietro, opera conservata nella chiesa di Santa Maria del Popolo, a Roma. Scelse anche una prostituta annegata nel Tevere come modella per La morte della Vergine, esposta al Museo del Louvre di Parigi.
Riccardo Scamarcio nel film L’ombra di Caravaggio © Luisa Carcavale
Come sei stato scelto per la parte?
Diversi anni fa Placido mi confidò il forte desiderio di raccontare la vita di questo artista, non dal punto di vista del pittore ma come uomo. Voleva narrare il suo modo di essere. Era entusiasta anche pensando alle analogie che ci potevano essere tra questa personalità e alcune figure del presente. Ho colto nei suoi occhi vivaci una motivazione forte, come se volesse rappresentare la biografia di una pop star, tipo Elvis Presley e Freddie Mercury, o – aggiungerei io – un Maradona delle arti figurative. Bisogna ricordarsi che all’epoca di Caravaggio non c’erano certo la radio, la televisione, la fotografia o il cinema: a quei tempi, la pittura era lo show business di oggi, portava fama e successo. E Merisi aveva un talento pazzesco, ma nello stesso tempo era un animale non addomesticabile. Talmente eccezionale e non gestibile che i suoi committenti hanno dovuto farlo fuori. E per secoli gli è stata negata anche l’attribuzione di molte opere, riconosciute a sua firma solo nel ‘900, cioè 300 anni dopo.
Un personaggio realmente esistito, non facile da interpretare. Come ti sei preparato?
Ho studiato, letto documenti dell’epoca, mi sono confrontato con Michele, ho parlato con artisti, in particolare con Enzo Cucchi. Era importante che mi facessi un’idea del temperamento di Merisi, un tipo che non si faceva intimorire. Gli piaceva la vita, l’amore, il sesso e, nello stesso tempo, viveva per trovare un’ispirazione in ogni occasione, senza retorica. E affrontava i rivali, come Ranuccio Tomassoni, in modo diretto.
Riccardo Scamarcio e Louis Garrel © Luisa Carcavale
Spesso lo faceva con la spada, uno status symbol riservato solo a chi contava. A questo proposito, come mai hai scelto di girare le scene dei duelli senza stuntman?
So tirare un po’ di scherma. E in passato ho recitato per la serie tv La freccia nera e a teatro con I tre moschettieri. È stato un modo utile per immedesimarmi. E dopo, come si dice in gergo, “vomitare il personaggio”.
Caravaggio era un uomo senza regole, passionale e violento, ma anche un cristiano, convinto che occorresse ritornare al messaggio semplice dei Vangeli.
Era un grandissimo conoscitore dei testi religiosi. Voleva far entrare la carne e la vita terrena nel sacro, per normalizzarlo. Un esempio su tutti è la Decollazione di San Giovanni Battista, l’opera conservata a Malta. Qui la testa tagliata è raffigurata in modo tanto forte da trasmettere con intensità la violenza contro i deboli.
Era anche un uomo compassionevole verso le prostitute e i poveretti, li difendeva e li curava…
Provava una forte umanità ed empatia. La sua pittura era pregna di tragedia, perché riteneva che l’arte non dovesse essere consolatoria, tutt’altro. E l’uso eccezionale della luce fuori campo, con cui sapeva giocare solo lui, rafforzava questo messaggio e il suo desiderio di raffigurare il vero e perseguire la verità.
Articolo tratto da La Freccia
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