La velocità è una retta che unisce l’Italia alla Francia e viaggia così da oltre un secolo, da quel 20 febbraio 1909, quando Le Figaro pubblicò in prima pagina Le Manifeste du Futurisme di Filippo Tommaso Marinetti. «Nous chanterons les locomotives au grand poitrail, qui piaffent sur les rails, tels d'énormes chevaux d'acier bridés de long tuyaux», si leggeva. A questa roboante incitazione, la Francia rispose con entusiasmo. La Parigi ove partire e arrivare, per Paul Verlaine, era pura poesia: «Le train glisse sans un murmure, chaque wagon est un salon où l’on cause bas…». Malcolm de Chazal vide luce all’alba del XX secolo.

Artista e scrittore mauriziano, ci ha lasciato una frase incantevole e compiutamente francese: «La pensée voyage à la vitesse du désir». In otto parole aveva raccolto i concetti di pensiero, viaggio, desiderio e velocità in una sola esperienza umana che sarebbe stato bello realizzare nelle immagini di un film. In Francia accadde. Nel dicembre 1924, tra il primo e il secondo tempo del balletto Relâche, viene proiettato Entr’acte, regia di René Clair, idee di Francis Picabia, Marcel Duchamp e Man Ray e musica di Erik Satie. L’opera, fulminante, narrò la Parigi che pensava e desiderava, che guardava la luna mentre col dito indicava un vero futuro. Le scie della velocità lasciavano le loro tracce nel cortometraggio: dai fantocci con la testa a palloncino che viaggiavano in treno alle biciclette che gareggiavano per Parigi; dalle auto che giravano per le strade a un carro funebre che dapprima avanzava adagio e poi aumentava l’andatura, sino a costringere il piangente corteo a correre all’impazzata per stargli dietro. Dalla bara che rotolava su un prato usciva un prestigiatore: con la sua bacchetta faceva scomparire il suo stesso feretro, poi i trafelati personaggi in lutto e, infine, se stesso.

Frecciarossa Trenitalia

Entr’acte è rimasto nella memoria del cinema di ogni epoca. Preannunciare in 20 minuti 100 anni di poesia e di immaginazione era un’impresa che soltanto in Francia poteva avere luogo. Eppure, non soltanto nelle arti, anche negli sport la grandeur e la vitesse coabiteranno bene nell’animo del suo popolo. Ad avere una visione superiore nel corso di ogni Gran Premio era il pilota automobilistico Alain Prost, quattro volte campione del mondo. Sulle due ruote, invece, erano imprendibili il ciclista Jacques Anquetil, che amava bere il Calvados e «conferiva alla bicicletta le virtù dell’aria», e Bernard Hinault, campione che non si è mai arreso: «Mientras respire, ataco!». Infine il calcio, che tra Raymond Kopa, Michel Platini e Zinédine Zidane ci ha dimostrato sino a che punto la velocità e lo stile potessero giocare, far divertire e vincere assieme.

Non c’è dubbio che francesi e italiani abbiano anticipato nella stessa misura i tempi della cultura e della fantasia, della strategia e della creatività. Spesso si accenna alla loro cuginanza e alla loro rivalità. Io invece credo che la storia ci renda fratelli: siamo stati a lungo, insieme, il cuore felice d’Europa, e andare e venire dalla Francia all’Italia era un po’ come transitare «dallo stesso allo stesso», come avrebbe detto il filosofo Mario Perniola. E quando gli chiesero di indicare un segno forte del ‘900, Ernst Jünger, scrittore e ufficiale tedesco di stanza a Parigi durante l’occupazione, prese a raccontare di quando il nonno, agli inizi degli anni ‘10, portava i nipotini a fare un giro in auto: «A un certo punto si voltava e tutto serio ci avvisava: Occhio, bambini, si va a 20!». Che la velocità fosse un valore relativo si intuiva già allora ma sarà un altro parigino a svelare gli ultimi segreti della dromologia, la scienza che studia questo fenomeno: per Paul Virilio, urbanista e pensatore visionario, la velocità resta un’illusione di tempo, perché non ci nega mai la dolcezza di un’attesa. Di un Frecciarossa proveniente da Milano o da Parigi, per esempio, e di una figlia che scende dal treno e corre verso suo padre. Per abbracciarlo.

Articolo tratto da La Freccia di febbraio 2022