In cover, Cola dell'Amatrice, Cristo benedicente
Aggiornamento 18 maggio
La mostra Rinascimento marchigiano apre nuovamente al pubblico dopo la chiusura causata dall'emergenza Covid-19. Ci sarà anche più tempo per poterla visitare: la chiusura, inizialmente prevista per il 5 luglio, è stata prorogata al 27 settembre.
Aggiornamento 9 marzo 2020
MUSEO CHIUSO IN OTTEMPERANZA ALLE INDICAZIONI DELLE AUTORITÀ IN MATERIA DI PREVENZIONE DEL CORONAVIRUS
La mostra Rinascimento marchigiano. Opere d’arte restaurate dai luoghi del sisma è un viaggio tra due regioni del centro Italia, Marche e Lazio. Dopo la tappa al Forte Malatesta di Ascoli Piceno, il percorso espositivo è allestito fino al 5 luglio a Roma, nella splendida cornice del Complesso monumentale di San Salvatore in Lauro, sede della Fondazione Pio Sodalizio dei Piceni, attiva fin dal 1600. Un tour che si conclude dal 23 luglio al 3 novembre al Palazzo del Duca di Senigallia. Un ritorno a casa, quindi, dal momento che l’obiettivo del progetto è far sì che, terminate le mostre, le opere tornino nelle loro sedi originali o, dove ciò non fosse possibile, in depositi adibiti sempre all’interno del territorio marchigiano.
Non fatevi ingannare dalla prima parte del titolo della mostra: i 36 lavori esposti vanno dal ‘400 al ‘700, quindi solo alcuni appartengono a quel periodo artistico e culturale. Il termine rinascimento va inteso piuttosto come auspicio per il futuro, affinché l’identità culturale di un territorio possa tornare a splendere. Ad accumunare il corpus di opere è infatti la loro sopravvivenza ai terremoti che hanno colpito le Marche a partire dal 2016.
Una situazione in cui, nonostante la presenza di strutture crollate o pericolanti, l’attenzione di numerosi cittadini si è riversata sulla salvaguardia di tele e sculture importanti per le comunità dal punto di vista religioso. Ecco perché alcune delle opere esposte risaltano non tanto per il valore artistico, quanto per quello storico e devozionale, per l’attaccamento che gli abitanti delle zone in cui erano conservate hanno sviluppato nel corso dei secoli, come testimonia il co-curatore della mostra Pierluigi Moriconi.
Così la mostra rappresenta anche un altro viaggio, quello nella religiosità popolare marchigiana, dal centro della regione fino alla costa, attraverso un percorso stilistico e iconografico che è stato definito da critici come Federico Zeri e Pietro Zampetti, “cultura adriatica”. A crocifissi lignei e pietà o vesperbild (ossia “immagine del vespro”), che ancora oggi si trovavano nelle chiese come oggetti di culto, si aggiungono manufatti di autori importanti come Jacobello del Fiore con la serie delle Scene della vita di Santa Lucia, Vittore Crivelli con la Madonna orante, il Bambino e angeli musicanti, Cola dell’Amatrice di cui spicca la Natività con santi e Giovanni Serodine con San Francesco di Paola che spegne la fornace in fiamme.
Per far fronte ai danni causati dalle scosse sismiche si è reso necessario un lavoro di restauro da parte delle Università di Camerino e Urbino che è partito da innovative analisi diagnostiche. Ciò ha consentito di effettuare nuove attribuzioni e svelare alcuni segreti sulla tecnica e sui materiali utilizzati dagli autori. Quali? Li rivela l'altro curatore della mostra, Stefano Papetti.
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