Foto in apertura: Pozzo di San Patrizio, a Orvieto (TR)

Ut bibat populus, affinché il popolo possa bere. Papa Clemente VII incaricò Benvenuto Cellini di coniare una moneta speciale per celebrare la costruzione del pozzo di San Patrizio, a Orvieto (TR). Nel prezioso metallo l’artista impresse Mosé che, battendo una roccia con il bastone, fa sgorgare l’acqua della salvezza per dissetare gli ebrei erranti nel deserto. Di tutti gli elementi presenti in natura, l’acqua è certamente il più prezioso e indispensabile per la vita. Privati del suo apporto, gli uomini sono condannati a morte e le città destinate a perire.

Papa Clemente VII lo sapeva bene. Scampato al Sacco di Roma del 1527, il pontefice ordinò la costruzione di un gigantesco pozzo nella città fortificata di Orvieto, dove avrebbe trovato rifugio in caso di pericolo: profondo 54 metri, avrebbe garantito il necessario approvvigionamento idrico durante un lungo assedio. Antonio da Sangallo, con la collaborazione di Giovanni Battista da Cortona, realizzò un vero e proprio capolavoro d’ingegneria idraulica, oggi ammirato dai visitatori di tutto il mondo. La sorgente si raggiunge attraverso due rampe elicoidali a senso unico con 248 gradini. Il percorso carrabile consentiva di trasportare l’acqua estratta dal pozzo con i muli senza che i flussi di discesa e salita s’intralciassero reciprocamente.

Questo cilindro largo 13 metri, illuminato in modo naturale e suggestivo da 72 finestroni, trasferisce i visitatori in una dimensione quasi magica. Inizialmente, era chiamato il pozzo della Rocca. A metà dell‘800 venne rinominato facendo riferimento alle leggende collegate a San Patrizio, il patrono d’Irlanda, convinto che queste opere idrauliche fossero una sorta di accesso all’inferno presso le quali fermarsi a pregare e meditare. Quest’aura di mistero continua ad ammantare non solo il pozzo di Orvieto, nel quale i turisti lanciano monetine beneauguranti, come nella Fontana di Trevi, ma anche altri pozzi storici scavati nelle viscere profonde delle città italiane.

Pozzo della Polenta, Corinaldo (AN)

Pozzo della Polenta, Corinaldo (AN)

IL POZZO DELLA POLENTA E LA SUA LEGGENDA

A metà della Piaggia di Corinaldo (AN), maestosa scalinata delle Marche, i visitatori ammirano il pozzo della Polenta, che a metà luglio diventa meta di rievocazioni storiche ed eventi popolari. L’origine del nome è burlesca. Un contadino portava sulle spalle un pesante sacco di granturco e, giunto a metà della gradinata, lo poggiò sul bordo del pozzo per riposarsi un attimo. Per disgrazia, il prezioso bagaglio finì in fondo al pozzo e il contadino disperato cercò in tutti i modi di recuperarlo, imbrattandosi di farina e richiamando l’attenzione dei passanti. Quando riemerse, sembrava avesse effettivamente mangiato la polenta in fondo alla cavità. Così, qualche fantasioso buontempone raccontò all’osteria che avesse lanciato nel pozzo anche delle salsicce e che qualche massaia avesse aggiunto del sugo a questa immaginaria pietanza degna del paese dei matti.

I MUNACIELLI NEL SOTTOSUOLO DI NAPOLI

Se a Corinaldo il pozzo produce polenta, la situazione a Napoli è ben più seria. Dal sottosuolo di Partenope, infatti, emergevano i munacielli a turbare la pace domestica. Tra il ‘500 e il ‘600 furono scavati nel ventre tufaceo di Napoli centinaia di pozzi direttamente collegati alle abitazioni con una botola. Ogni famiglia attingeva l’acqua con secchi e carrucole, ma le condotte avevano bisogno di periodica manutenzione. Tale lavoro era affidato ad agilissimi operai che s’infilavano nei cunicoli indossando una sorta di saio che li faceva sembrare dei monaci. Tra leggende e dicerie, i “munacielli” diventarono una presenza costante nell’immaginario familiare partenopeo per giustificare piccoli furti, tradimenti, danni nelle abitazioni. Le visite alla zona sotterranea di Napoli consentono di accedere a pozzi e cisterne e, magari, imbattersi in qualche munaciello superstite.

Pozzo etrusco, Perugia

Pozzo etrusco, Perugia

SORGENTI SOTTERRANEE DAGLI ETRUSCHI AL RINASCIMENTO

Palazzo Sorbello, a Perugia, custodisce il pozzo etrusco, la cui costruzione si può far risalire addirittura al III secolo avanti Cristo. Con una canna cilindrica che raggiunge la profondità di 37 metri, ha garantito un rifornimento idrico costante alla città umbra anche nei momenti più drammatici della sua storia. Siena, invece, è lontana dai corsi d’acqua. E, nel corso dei secoli, i contradaioli hanno dovuto attingere a sorgenti sotterranee oppure alla canalizzazione dell’acqua piovana. Nel sottosuolo sono stati dunque realizzati 25 km di gallerie, oggi visitabili grazie a una serie di appuntamenti organizzati dal Comune. La costruzione di questi “bottini” ha garantito il rifornimento idrico della città del Palio contribuendo alla sua potenza economica e culturale. Il Palazzo Ducale di Urbino, vera e propria città nella città, era servito da pozzi e cisterne che il Gruppo speleologico locale ha riportato alla luce. Un ingegnoso dedalo di stanze e cunicoli che avevano lo scopo di raccogliere le acque piovane destinate a soddisfare il fabbisogno idrico della corte. In questo viaggio sotterraneo, accompagnati da guide esperte, si possono ammirare la condotta di Santa Lucia e le quattro cappelle del Santissimo Crocifisso della Grotta.

Articolo tratto da La Freccia di marzo 2022