È il 1992 quando Helmuth Köcher, profondo conoscitore del vino, dopo lunghe esperienze in Francia tra il Bordeaux e la Borgogna, decide di organizzare un evento per valorizzare le cantine italiane. Un festival, non una fiera, dove possono accedere su invito solo i produttori che hanno superato rigide selezioni. Dopo 30 anni il Merano WineFestival, quest’anno in programma dal 4 all’8 novembre, conferma la sua formula e il premio di eccellenza The WineHunter Award, obiettivo prestigioso per le aziende di vino in tutta Italia.

Qual è lo spirito della 31esima edizione e quali le principali novità?

Da 30 anni più uno, avendo saltato un’edizione durante la pandemia, cerchiamo di adeguarci ai nuovi trend che animano il mondo del vino e i suoi mercati. Tra gli aspetti più importanti ci sono senza dubbio la storia di questo prodotto e la sua sostenibilità. Il vino ha 8000 anni di storia: secondo alcuni è nato in Georgia e si è poi diffuso nell’età romana, in particolare in Campania. Entrambi i territori saranno ospiti al Merano WineFestival. È invece la Regione Abruzzo a portare la bandiera della sostenibilità, concetto al centro di importanti momenti di confronto e approfondimento durante la manifestazione.

Helmuth Köcher

Helmuth Köcher

Cosa ti ha portato a pensare, nel 1992, che ci fosse bisogno di un evento basato sul vino di qualità?

All’inizio degli anni ’90, un buon calice era ancora solo un elemento di accompagnamento al pranzo o alla cena. Ma nello stesso tempo, soprattutto in Francia, si è cominciato a percepire la magia della spinta emotiva che riusciva a creare. Il vino di alta gamma ha una sua personalità, un suo carattere, una sua vita e porta con sé la tradizione, la cultura e la storia di un territorio. Anche in Italia numerose aziende avevano scelto di intraprendere un percorso di eccellenza e così è nata la voglia di valorizzarle. Il Merano WineFestival è stata la prima manifestazione a mettere al centro la qualità e non la quantità, e lo è tutt’oggi. Un modello differente che basa la partecipazione su un’attenta selezione.

I produttori ti hanno dato fiducia fin dall’inizio?

Già allora ero affascinato dalla varietà e dalla biodiversità del mondo del vino in Italia: moltissime aziende, da Nord a Sud, sceglievano di puntare in alto e il criterio di selezione ha riscontrato fin dall’inizio un grande successo. È stata senza dubbio una sfida, ma oggi, contando che le presenze sono più che decuplicate, possiamo dire di averla vinta. I produttori sono molto orgogliosi di essere tra quelli scelti per rappresentare il meglio del proprio territorio.

Calici di vino rosso

Photo © Pavel Siamionov/AdobeStock

Come vedi oggi questo settore e quali sono le prospettive a breve termine?

In 30 anni il mondo del vino è cambiato completamente, a partire dal capovolgimento del concetto di quantità e qualità. Oggi è la prima a dettare legge: si valorizza il territorio con la ricerca sui vitigni autoctoni e si ripercorre la storia con le lavorazioni in anfora. Ci sono segnali positivi di grande fermento. A risultare vincenti sul medio periodo saranno i prodotti capaci di esprimere il proprio territorio. C’è voglia di identità e riconoscibilità, di vini che abbiano carattere e personalità e che sappiano emozionare, con eleganza e finezza.

Quali zone vinicole apprezzi maggiormente?

Mi piace molto scoprire ciò che ancora non conosco, viaggiare tra i diversi vitigni e le zone vinicole per apprendere sempre qualcosa in più. È questa la formula giusta per diventare un wine hunter. Quindi non solo Toscana o Piemonte ma anche Molise e Sardegna, per esempio. Inoltre, mi ispirano le vecchie annate. È bellissimo, poi, scoprire vini di altri Paesi, dalla Georgia al Libano, fino a Cipro. Sto lavorando per averli al Merano WineFestival.

Articolo tratto da La Freccia