In Cover, una delle detenute di Made in Carcere mentre realizza uno dei prodotti con tessuti riciclati

Offrire una seconda opportunità alle persone e alle cose. Con questo presupposto, Luciana Delle Donne ha dato vita al progetto Made in Carcere, brand sociale della onlus Officina creativa. Un modello di economia rigenerativa, riparativa e trasformativa, che fa bene a tutti – individui, comunità e ambiente – combinando la rieducazione dei detenuti con la sostenibilità ambientale.

 

La onlus ha vinto il contest di idee promosso da Ferrovie dello Stato Italiane insieme a Sustainable Fashion Innovation Society (Sfis), associazione senza scopo di lucro che è anche la più grande community italiana di brand ecosostenibili. «L’idea del concorso», spiega la presidente di Sfis Valeria Mangani, «è nata dall’esigenza di applicare al viaggio il valore della sostenibilità. La proposta di creare un piccolo oggetto green di uso comune poteva tornare utile all’azienda sia a breve termine sia per le future campagne di sensibilizzazione».

 

Per FS Italiane, Made in Carcere ha pensato a gadget che riducessero lo spreco di carta e plastica, proponendo porta biglietti e mascherine ecosostenibili per treni e FRECCIAClub, buste in tessuto riutilizzabili per il welcome drink a bordo e trousse da viaggio per i vagoni letto. «È uno dei brand più virtuosi all’interno della nostra piattaforma e unico nel suo genere. In questo caso, il parallelismo allegorico tra donna e moda risulta molto profondo. Lo scopo di Made in Carcere è infatti quello di diffondere la filosofia della seconda opportunità, che vale per le detenute ma anche per i tessuti a cui si regala una seconda vita», conclude Mangani. Delle Donne, la fondatrice del progetto, ha alle spalle un’esperienza bancaria ventennale. 

Luciana Delle Donne

Luciana Delle Donne

Dopo i successi nel mondo della finanza, ha deciso di rimettersi in gioco scegliendo di dedicarsi completamente al terzo settore, passando dall’innovazione tecnologica a quella sociale. «Made in Carcere è nato per caso 15 anni fa, chiedendo ad amici e conoscenti se avessero tessuti in esubero da donarci per poter avviare il primo laboratorio sartoriale a Lecce. Constatata la grande disponibilità di materiali, abbiamo pensato di realizzare gadget personalizzati per trasferire un messaggio di inclusione sociale e rispetto ambientale», racconta. «E il bello è che riusciamo a realizzare manufatti bellissimi con tessuti meravigliosi perché le aziende sono felici di sapere che i loro scarti diventano la nostra materia prima».

 

Le carceri coinvolte si trovano tutte al Sud, e sono sono stati ricreati spazi dall’atmosfera familiare, le cosiddette Maison di Made in Carcere. E si trovano a Lecce, Trani, Matera, a breve anche a Taranto e Istituto di Pena Minorile di Bari per i laboratori di pasticceria. «La nostra esigenza primaria è quella di replicare questo modello promuovendo anche lo sviluppo di sartorie sociali di periferia, come quelle di Lecce, Bari, Taranto e Catanzaro, ma anche di Verona e Grosseto». 

Il gruppo di Made in Carcere

Il gruppo di Made in Carcere

I numeri testimoniano il grande lavoro svolto: «In questi anni abbiamo seguito oltre 250 persone in stato di detenzione, con una recidiva pari quasi a zero. I pezzi prodotti e venduti sono stati più di un milione e ci hanno consentito di pagare uno stipendio a tutti i detenuti. Tra le collaborazioni più importanti c’è quella con l’ente non profit Fondazione con il Sud, che ha permesso di coinvolgere altre sette cooperative e circa 65 persone in stato di detenzione», continua Delle Donne. Che pensa già a nuove sfide e sperimentazioni: «Occorre cominciare a parlare di Benessere interno lordo, non di profitto, "Bil" al posto di Pil. Bisogna scegliere progetti, non più prodotti. E sempre più persone condividono questo nostro messaggio: dare e darsi è la nuova frontiera della ricchezza». 

Articolo tratto da La Freccia