I suoi personaggi sono la declinazione del suo essere. Intensi, caratteriali, unici e soprattutto dotati di una particolare leggerezza che viene dalla felicità che prova nel fare il suo mestiere: l’attore. «Mi sento un privilegiato, ho potuto trasformare la mia passione in professione», dice Massimiliano Gallo, guardandomi diritto negli occhi con quel suo sorriso sincero e un po’ sornione.

 

«Lavorare mi dà grande gioia e non mi stresso mai», confessa. Tra i suoi recenti successi, ci sono la superba interpretazione di un profondo Domenico Soriano in Filumena Marturano e del caleidoscopico protagonista di Vincenzo Malinconico, avvocato d’insuccesso, entrambi andati in onda su Rai1 e ora disponibili su RaiPlay. Chi vuole apprezzarlo sul palco può andare a vedere Amanti, scritto e diretto da Ivan Cotroneo, dove recita in coppia con Fabrizia Sacchi: fino al 12 febbraio al teatro Diana di Napoli e dal 14 al 26 al Manzoni di Milano.

 

Quando interpreti un personaggio si capisce chiaramente che sei naturale e “leggero”.

È la mia natura: cerco sempre di sdrammatizzare, lavorare con grande armonia e soprattutto provo una grande felicità di fondo. Ancor più quando sto sul palcoscenico e vivo l’incontro con il pubblico. Sento il bisogno del teatro, mi ricarica lo scambio umano che puoi avere solo lì. Stare esclusivamente sul set può inaridire, è artisticamente pericoloso, per questo ogni anno mi ritaglio almeno tre mesi sul palco.

 

Sei cresciuto a pane e teatro: i tuoi genitori recitavano entrambi. Cosa ti è rimasto di quello che ti hanno trasmesso?

Un’enorme disciplina che mi ha aiutato a essere preciso sul lavoro, non mi piace l’approssimazione. Ho imparato che servono gli strumenti giusti. Come il falegname utilizza martello e chiodi, così l’attore usa l’impostazione vocale e la postura del corpo: chi non sa occupare uno spazio scenico non può dare la colpa alla sfortuna o crearsi alibi se non raggiunge il successo. Una volta questo mestiere si faceva frequentando l’accademia o entrando nella compagnia di un capocomico, dove ci si formava assumendo pian piano ruoli più importanti. Oggi i giovani pensano che non serva l’impegno, che la meritocrazia non esista. Un po’ è anche colpa della disillusione che gli abbiamo causato ma quando tengo i laboratori teatrali mi rendo conto che i ragazzi e le ragazze non leggono i testi, non aprono i libri, non conoscono il linguaggio cinematografico perché non guardano film.

Massimiliano Gallo

Quando sei arrivato sul grande schermo?

Da attore di teatro, nel 2008 sono stato catapultato nel modo del cinema dalla porta principale con Fortapàsc di Marco Risi, dove interpreto lo spietato boss Valentino Gionta. Un ruolo che mi ha dato grande visibilità tra gli addetti ai lavori. Poco dopo mi ha chiamato Ferzan Özpetek per Mine vaganti. Da allora, ho girato 35 film e 15 serie televisive.

 

Sei stato alla Mostra del cinema di Venezia con nove pellicole negli ultimi sette anni ma ti sei tenuto sempre a distanza dal gossip. Come hai fatto?

Credo che ciò a cui si tiene vada tutelato e protetto e lo farò ancora di più. Oggi tutto viene consumato troppo velocemente, per un like si fa qualsiasi cosa. Ma l’atmosfera alla Mostra del cinema mi piace molto, è un grande circo e se ci vai con lo spirito giusto ti diverti. Nel nostro settore tutto è molto effimero, bisogna dare il giusto peso alle cose. Oggi mi fermano per strada, ma fra sei mesi potrebbe essere diverso: mai prendersi troppo sul serio.

 

Cosa detesti nelle persone e cosa invece apprezzi di più?

Non sopporto l’ipocrisia, la formalità e tutto quello che sta intorno a questo mondo di cui non mi sento parte. Odio la falsità di certi incontri e certi salotti ma serve diplomazia, sapere quando si può dire una cosa oppure no. Con molti colleghi c’è grande stima e apprezzo molto chi fa le cose con passione e si risolve la vita in maniera onesta. Troppo spesso diamo la colpa agli altri invece di fare un esame di coscienza.

 

Sei cresciuto a Napoli. Che rapporto hai con questa città?

Abitavamo molto vicino allo stadio ed eravamo capaci di riconoscere dalle grida una punizione, un rigore o un gol. Era la Napoli di Massimo Troisi, Pino Daniele, Maradona. Oggi è una città straordinaria e unica perché ha un’identità così potente che riesce, in un mondo globalizzato, a contaminare chi la contamina. Come la musica di Pino, contagiata dal blues e dal jazz, ma la più napoletana di tutte. Un altro esempio divertente sono i kebabbari vicino alla stazione che usano lo sfilatino e non il pane arabo. Il kebab napoletano: un mix mai visto al mondo. Infine, il vulcano, un magma sotterraneo che sprigiona energia anche a livello artistico visti i tanti talenti nel teatro, nella musica e nella drammaturgia. Per me arriva tutto da lì.

 

Qual è il profumo della tua infanzia?

Il sugo alla genovese che mangiavamo di domenica: mi svegliavo e il suo profumo si spargeva per la casa.

 

Che emozioni ti suscita il treno?

Mi piace molto, lo prendo spesso per lavoro, è comodissimo. Posso venire a Roma per un appuntamento e tornare a casa la sera. Nello spettacolo che ho scritto, Stasera, punto e a capo, racconto il fascino romantico dei viaggi sui vagoni letto negli anni ‘80. Da piccolo dovevo anche recitare nel film Café Express con Nino Manfredi, girato su un treno, ma scelsero un altro bambino.

Nei personaggi che interpreti c’è sempre un differente tratteggio del tuo carattere.

Quando vesto un ruolo faccio sempre un ragionamento su me stesso. Nella serie Imma Tataranni - Sostituto procuratore, mi sono chiesto quale marito sarebbe stato Massimiliano Gallo in quella vita, negli episodi de I Bastardi di Pizzofalcone cercavo di capire invece che tipo di questore sarebbe stato. Insomma, metto me stesso in quel vestito. Leggo testo e sottotesto, lo immagino e decido che via prendere. Poi, dopo la prova costumi, quel personaggio acquista una sua camminata, postura e gestualità.

 

Sullo schermo è più efficace uno sguardo o una battuta?

Parlare è più semplice, lo sguardo è più efficace ma più complicato. Quando ti riprendono in primo piano devi far capire a cosa pensi solo con piccoli movimenti degli occhi. È impegnativo ma è la magia del cinema.

 

E quella del teatro?

Nasce e muore in una sera ed è irripetibile, è come una convenzione tra l’attore e gli spettatori. La sera successiva ci sarà uno spettacolo nuovo, con pubblico diverso e reazioni differenti. È la potenza del teatro.

 

Il tuo luogo del cuore?

Sorrento. Un’isola felice di straordinaria bellezza, un miracolo. Mi piacerebbe passarci più tempo.

 

Stai più a tuo agio a tavola o in cucina?

In entrambi i luoghi, mi piace mangiare bene e pure cucinare, in particolare i primi piatti.

 

Durante le tournée c’è ancora l’abitudine di cenare insieme dopo lo spettacolo?

È meno frequente di un tempo. Spesso gli attori sono diventati impiegati (ride, ndr). Sapevo che Marcello Mastroianni faceva includere nel contratto l’obbligo di cenare con lui dopo lo spettacolo.

 

La tua cucina preferita?

Provo tutto e sono curioso di sperimentare, ma senza dubbio quella italiana.

 

E a Napoli dove mangi?

Due nomi in particolare: Terrazza Calabritto e Cicciotto a Marechiaro. Ma si mangia benissimo ovunque.