In apertura, Il cuore dentro alle scarpe di Francesco Longo, edito da 66th and 2nd, pp. 288 € 16

È uno di quei libri che mettono in difficoltà i librai, abituati a muoversi tra generi preconfezionati, e anche alcuni lettori, quelli che vanno di corsa, leggono tutto d’un fiato e per i quali un’opera si esaurisce rispondendo a una semplice domanda: «Di che parla?».

La raccolta di racconti Il cuore dentro alle scarpe, di Francesco Longo, che è un romanzo corale, un viaggio, una guida sportiva, spirituale, umana, nasce da un’idea felice, di quelle che rendono magica la letteratura: raccontare la storia dello sport a Roma - una città che, come diceva qualcuno, non finisce mai - osservando le 60 statue dello Stadio dei Marmi, all’interno del Foro Italico, quello dedicato all’atletica leggera.

Ascolta il podcast a cura di Aldo Massimi

Ogni statua rappresenta una vocazione, uno sportivo, dal nuotatore al maratoneta, dal lanciatore di fionda a quello di pietra, dal tennista al pugile. Sessanta narrazioni in cui Longo dimostra una delle capacità umane più complesse, quella di osservare senza giudicare, mettendosi alla pari con i personaggi, marmorei o di carne, che incontra. Restituisce con grazia alle statue un movimento che sembrava perduto, per poi fermarlo, di nuovo, sulla pagina.

 

E in una città che ha sempre giocato con il tempo e l’eternità, in cui nulla, come dice l’autore, accade in ordine cronologico, bisogna essere capaci di calarsi nel presente. All’inizio, lo Stadio dei Marmi si chiamava Foro Mussolini: è stato costruito durante il fascismo, nel 1928, per celebrare valori che appartengono a un altro mondo e oggi sembrano essersi dispersi nell’aria. Un luogo come questo ora è diventato un’isola, un rifugio per chi ha bisogno di prendersi una pausa dai ritmi della città.

In un’epoca in cui le statue vengono imbrattate, abbattute, discusse, Longo preferisce osservarle, ascoltarle, trasformarle in piccoli grandi racconti. Con il nuotatore, la seconda scultura dello stadio, l’autore rievoca Matthew Webb, il primo uomo capace di attraversare a nuoto la Manica. E questo gli dà l’occasione di parlare anche dell’attore Bud Spencer, grande nuotatore e giocatore di pallanuoto, dello scrittore John Cheever e del poeta Orazio, a cui il medico aveva consigliato di attraversare il Tevere prima di dormire, visto che soffriva d’insonnia.

Per ogni statua, per ogni disciplina, vengono ricordate le grandi storie, quelle che sono finite sui giornali e poi nella memoria collettiva, anche attraverso le testimonianze di alcuni campioni o di chi ha avuto la fortuna di conoscerli. Ma non c’è solo questo. Come faceva lo scrittore Walter Benjamin ne Il narratore, Longo dà spazio a tutte le anime della città, agli aspiranti campioni, a quelli che aspettano l’occasione giusta, a quelli che hanno la testa piena di sogni o rimpianti. E lo fa senza la paura di immergersi in una città umorale, tropicale, pazza, e soprattutto senza fare l’errore che può capitare a chi ci abita, quello di pensare che Roma sia piena di storia e storie, senza sapere, però, quale sia e quali siano.

Articolo tratto da La Freccia