In apertura Stefano Massimi

«L’allarme oggi ha suonato di nuovo. Qua sotto c’è posto per 30 persone. Ti guardi intorno: in tutta Kiev ci sono 4.984 bunker, oggi ti è toccato questo, oggi ti è toccato qui». In uno spazio angusto, freddo, nella semioscurità, un uomo parla ininterrottamente. Lo sguardo nel vuoto, le pause di silenzio, il tono concitato, la ripetizione martellante del numero 4.984. È Stefano Massini che, in un’ideale staffetta testimoniale, si alterna con altri interpreti nei sotterranei del Teatro della Pergola a Firenze dove porta, per ora fino al 15 maggio, il suo Bunker Kiev, progetto speciale per sostenere gli ospedali pediatrici ucraini. In quello che fu un vero nascondiglio durante le incursioni della Seconda guerra mondiale, l’attore e scrittore fiorentino prende la parola per rendere oscenamente viva l’esperienza di cosa significhi sopravvivere oggi a Kiev. Sotto le bombe. Al buio. Tra le sue parole c’è la sinossi della paura e della banalità del male. Ci sono la grandezza e la miseria della vita. C’è l’essere umano che si dimentica di essere tale quando il male del mondo si ingoia quotidianità, dignità, raziocinio.

 

A un anno dall’inizio del conflitto hai scritto un testo molto forte. Cos’è Bunker Kiev?

Una provocazione a teatro. La guerra in Ucraina ormai è diventata un argomento di agile conversazione per talk show, una contesa dialettica. Ci dimentichiamo, però, che dietro a tutto questo ci sono le vite delle persone. Allora il teatro, che da quando esiste ha sempre trattato questo tema, basti pensare alle grandi tragedie greche o a Bertolt Brecht e William Shakespeare, deve denunciare e far capire che cos’è la guerra. Qui c’è un testo drammaturgico realistico ma anche una grande metafora perché il luogo dove le persone assistono non è uno spazio qualunque: scendiamo davvero in un bunker della Seconda guerra mondiale. Per testimoniare che, da allora, l’uomo non ha ancora imparato la lezione. La storia si ripete e il teatro usa questi strumenti per sensibilizzare sul presente e stimolare contro la narcosi da notizie, spesso tante e superficiali, che intorpidiscono il pensiero invece di informare. Non insceno una pièce ma una performance che si conclude senza applausi ed è priva dei riti che di solito si trovano in uno spettacolo. È un atto politico che usa il teatro.

 

Riscontri dagli spettatori?

Il racconto arriva forte e chiaro e le persone si sentono colpite emotivamente, non solo sul piano della ragione. Attraverso le emozioni, l’uomo conosce e riconosce: la paura è paura, le bombe sono bombe, in qualsiasi conflitto, di qualsiasi Paese.

Stefano Massini

Stefano Massini

È appena uscito anche il tuo nuovo libro Manhattan project.

Un testo lungo e articolato scritto in due anni: è la storia di come fu ideata, progettata e costruita la bomba atomica. Di come l’umanità arrivò a questo sodalizio terribile tra scienza, politica, economia per realizzare la prima e più grande arma di distruzione di massa. Durante le persecuzioni di Adolf Hitler un gruppo di giovani scienziati ebrei scappò in America dall’Europa. In pochi anni, il timore che il dittatore tedesco si costruisse l’atomica è stata una spinta all’invenzione e all’uso di questo ordigno micidiale. Un racconto ostinato sul rapporto dell’uomo con la paura che genera altra paura, sempre.

 

Dopo il trionfo ai Tony Awards 2022 con Lehman Trilogy, storia di una delle famiglie più potenti d’America, chi è oggi Stefano Massini?

Difficile dirlo, Stendhal sosteneva che nessun occhio vede mai sé stesso. Ho però una lontana memoria di quando, da bambino, tornavo a piedi da scuola e puntualmente raccontavo quello che di sensazionale era accaduto durante il tragitto. Fin da piccolo ho avuto un’ossessione, un innamoramento profondo per le storie. Raccontarle, in teatro, in tv o in un libro, mi crea una forte sintonia con me stesso ed è, per me, un passaggio fondamentale nella relazione con gli esseri umani.

 

Che rapporto hai con la presunzione?

Chi è presuntuoso non vede e non ha bisogno degli altri. La narrazione, al contrario, ne ha profondamente e imprescindibilmente urgenza. Se mi accorgessi di non avere più questa necessità smetterei di fare il narratore.

 

Cosa leggi per scrivere?

Dal mio maestro Luca Ronconi ho imparato a essere onnivoro, divoro di tutto: dai manuali scientifici ai saggi di ogni materia. Se non capisco mi sforzo, è sempre bello entrare in un linguaggio sconosciuto e non confortevole.

 

Articolo tratto da La Freccia

 

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