In apertura, la valle dell’Adige vista dal paese di Rivoli Veronese © cenz07/AdobeStock

Il tragitto concordato è da Verona a Padova. La sfida è di quelle davvero importanti: 88 chilometri, tempo stimato in bicicletta quattro ore e 13 minuti, meglio cinque per me. Batteria del mezzo a pedalata assistita caricata correttamente, sono pronto. Ma non posso partire da Verona senza aver fatto colazione con un risino, dolce di pasticceria molto diffuso nel territorio che consiste in un piccolo cestino di pasta frolla con un ripieno di riso lessato e mescolato a una crema pasticcera. Lo abbino al caffè di Gianni Frasi, del laboratorio di torrefazione Giamaica caffè, i cui chicchi vengono tostati con il fuoco diretto come in un piccolo vulcano fino a raggiungere l’inconfondibile colore “tonaca di frate”.

Soddisfatto, salgo in bicicletta e comincio il mio percorso. Esco da Verona seguendo il fiume Adige e, in un lasso di tempo quasi impercettibile, mi ritrovo nella campagna veronese, proprio quella raccontata da Johann Wolfgang von Goethe nel 1786 nel suo Viaggio in Italia. Scrisse il poeta tedesco: «L’ampia pianura che si percorre man mano si allarga, e la strada larga, diritta e ben mantenuta attraversa una campagna assai fertile: la vista spazia fra lunghe file di alberi intorno ai quali si avviticchiano verso l’alto i tralci della vite, che poi ricadono in basso come ramoscelli aerei. Tra i filari delle viti il suolo è sfruttato per la coltivazione di ogni sorta di grano, specialmente del granoturco e del sorgo».

Il mio viaggio è ancora lungo, troppo lungo, ho percorso già 40 chilometri e credo che le forze mi stiano abbandonando. Decido allora di fermarmi a riposare, vedo un fiume, è il Guà, appoggio la bicicletta a un albero e mi stendo a guardare le nuvole. Per me sono sempre state magnetiche quanto il fuoco e il mare. Da bambino giocavo con mio fratello Gaetano e cercavamo le somiglianze con animali, cose o addirittura visi conosciuti. La mia fantasia sta correndo velocemente e, mentre i ricordi vanno a mia madre che ci leggeva le favole mentre facevamo i picnic fuori porta, la mia attenzione viene catturata da un uomo, un ragazzo in realtà, che passeggia solo sull’argine del fiume.

Massimiliano Alajmo, chef del ristorante Le calandre, Rubano (PD)

Massimiliano Alajmo, chef del ristorante Le calandre, Rubano (PD) © Lido Vannucchi

È alto, portamento austero, un filo di barba e capelli leggermente scompigliati. È intento a guardare il fiume, quasi volesse pescare, o forse sta ricordando qualcosa. Mi affascina il suo incedere lento e riflessivo, non dovrei disturbare la sua quiete ma la curiosità è davvero tanta: «Buongiorno, piacere, Giuseppe». Momento di silenzio, si volta verso di me e fa un vago cenno del capo: «Buongiorno». Dopo una pausa silenziosa e un sorriso continua: «Piacere, Massimiliano Alajmo».

Sarà proprio lui? È lo chef del ristorante tre stelle Michelin Le calandre? Non mi va di chiederglielo espressamente, quindi faccio finta di non aver collegato il nome e la professione: «Non mi sembri un pescatore e neanche un cercatore d’oro». E lui: «Sono immerso nella ricerca. A livello concettuale, la fluidità è l’evoluzione naturale della ricerca di leggerezza e profondità che mi ha portato a penetrare ancora di più il grande senso del mistero. La valenza dell’acqua rigenerante scatena una serie di memorie e sensazioni per cui la diluizione diventa un potenziamento».

Sono affascinato da questa risposta: è evidente dalla sua prossemica che non mi sta prendendo in giro. Insomma, sembra una persona seria e così gli chiedo: «Parli di fluidità intesa anche come divenire in opposizione all’essere?». E lui: «Abbiamo coniato questo concetto come se fosse quasi un percorso di fede, molto naturale, che prende le distanze dal tecnicismo affermatosi negli ultimi anni».

Preparazione dei piatti nel ristorante Le calandre

Preparazione dei piatti nel ristorante Le calandre © Gruppo Alajmo

Sono curioso e gli chiedo di farmi un esempio. Massimiliano diventa molto serio e risponde così: «In gastronomia, la ricerca spasmodica della tecnica ha portato all’aggiunta di sostanze invece che al potenziamento della materia stessa. Fluidità è il simbolo di questo percorso in cui non esiste più artefice e fruitore, ma tutto scorre e diventa più naturale e digeribile. Noi siamo spettatori di questo percorso liquido e fluire significa arrendersi alla vera bellezza, abbandonarsi alla ricerca dell’essenza. L’acqua è il traghettatore, è un ingrediente centrale, legato al ricordo. Ciò che tocca resta indelebile, per quanto sottile. Nella diluizione si trova un potenziamento e un’espansione dei sapori. Nella ricerca ho sviluppato i temi di leggerezza, profondità e liquidità. Un piatto deve suscitare emozioni profonde, semplici, dirette, primarie, riattivando aree della memoria deve evocare qualcosa che non appesantisca ma elevi».

Lo invito a prenderci un caffè, lui accetta e proseguiamo nella nostra chiacchierata. Gli chiedo quanti ne beve al giorno e mi risponde: «Il grande Gianni Frasi era solito dire che “non è il quanto che genera il quale”. Il caffè è una preparazione che ci consente di poter leggere noi stessi». Conosce l’imprenditore, la cosa non mi stupisce più di tanto, e aggiunge: «È una vera rivelazione se pensiamo che il tutto parte dal nocciolo di un frutto, duro come un sasso e totalmente insapore. La trasformazione che lo riguarda è una vera metamorfosi per arrivare alla sua massima espressione - il caffè espresso per l’appunto - con una crema superiore carica di riflessi dorati. Gli ingredienti, infatti, portano con sé verità nascoste, nutrimento per il corpo ma anche per lo spirito, sta a noi ascoltarle e farne tesoro».

A questo punto della conversazione capisco perché si parla così bene di lui nel mondo della gastronomia e perché in tanti lo definiscono un genius loci, uno di quelli che contribuiscono alla crescita di una comunità e di un territorio. Così, gli chiedo quanto si senta figlio della sua terra e lui mi risponde usando un tono molto affabile ma perentorio: «Il territorio è una convenzione geografica, siamo tutti figli di questo mondo. Amo i miei confini, amo la mia terra e la sua storia. Nel contempo, mi piace la relazione del Veneto con le altre regioni, adoro l’Italia. Cerco le relazioni e i contrasti con gli altri Paesi e le differenti culture. La storia dell’uomo e della gastronomia si basa sulle relazioni, sugli scambi, su un filo che ci rende tutti legati dalla stessa tensione». Mentre camminiamo arriviamo finalmente in un bar e casualmente il caffè è quello di Frasi.

Articolo tratto da La Freccia