La chiesa, la politica, la medicina smettano di guardare alle donne come a puttane che non vedono l’ora di uccidere i propri figli. L’aborto è una scelta dolorosa per chi la compie, ma è una scelta e va garantita. Anche se mi ha stravolto la vita, io adoro la mia meravigliosa figlia imperfetta. Ma se avessi potuto scegliere, quel giorno, avrei scelto l’aborto terapeutico». Sono alcune parole della lettera inviata a Corrado Augias e pubblicata su La Repubblica nel febbraio 2008. La scrisse Ada d’Adamo in reazione all’ipocrito uso della parola vita. La diffusione dell’epistola sul quotidiano italiano animò un vivace, e per certi versi violento, dibattito politico e mediatico dentro cui l’autrice ebbe la saggezza di non lanciarsi. A 15 anni di distanza Come d’aria, uscito per Elliot nella collana Scatti, si può probabilmente considerare come la sua risposta – attentamente meditata – a tutto ciò che venne detto e scritto in seguito alla divulgazione di quella lettera. Il memoir – come preferiva definirlo l’autrice rispetto all’etichetta di romanzo d’esordio – ha vinto il Premio internazionale Flaiano speciale di narrativa 2023, la 49esima edizione del Premio letterario internazionale Mondello nella sezione Opera Italiana e ha ricevuto una menzione speciale della 61esima edizione del Premio Campiello.

Proposto dalla scrittrice Elena Stancanelli, Come d’aria ha vinto la 77esima edizione del Premio Strega, oltre al Premio Strega giovani e allo Strega off che riunisce il voto del pubblico e quello di riviste selezionate. La scrittrice non ha potuto vivere l’apprezzamento letterario in quanto si è spenta nella notte tra il 31 marzo e il 1° aprile scorso, nella sua abitazione a Roma, il giorno dopo l’entrata del suo libro nella rosa dei 12 semifinalisti.

Nata in Abruzzo, a Ortona, Ada d’Adamo si è trasferita e ha vissuto nella Capitale, dove si è diplomata all’Accademia nazionale di danza e laureata in Discipline dello spettacolo. Ha dedicato molto tempo all’osservazione del corpo e delle sue declinazioni sulla scena contemporanea e lo ha descritto in diversi saggi sulla danza e il teatro. Questo suo libro è un’avvolgente e dinamica opera coreografica. A muoversi, tra ospedali, scuole e camere da letto, sono il corpo dell’autrice e quello della figlia Daria nata con una grave malattia congenita. Di fronte alla fragilità della figlia, Ada perde la propria identità. Non è più una donna, non è più una persona, ma si annulla dentro il suo ruolo: una madre che vive in funzione della sua bambina. Diventa le sue braccia e le sue gambe e, nelle notti disperate abitate solo dalle grida della neonata, arriverà a ritenersi colpevole di quel corpicino fuori controllo. Quando le viene diagnosticato un tumore al seno all’età di 50 anni, l’autrice è costretta a sottoporsi a cure mediche molto pesanti e, per sopravvivere alla propria malattia, deve trovare un centro suo, dedicarsi alla sua di cura e porre una distanza dall’essere umano che le è uscito dal grembo. Da questo momento la comunicazione tra madre e figlia si crea in virtù dei loro corpi malati, segnati da cicatrici e ferite. A essere raccontata è la malattia che unisce, separa, esiste nonostante la nostra società ne abbia rimosso il concetto. Come ha detto Stancanelli, D’Adamo non urla la sua sofferenza, ma la sussurra al mondo perché, citando la frase della medica e studiosa Rita Charon riportata in esergo: «È necessario raccontare il dolore per sottrarsi al suo dominio».

Articolo tratto da La Freccia di agosto 2023