In apertura la coperina del libro

«Le Sicilie sono tante, non finiremo mai di contarle», scriveva l’autore ragusano Gesualdo Bufalino. Tra queste, c’è la Sicilia torrida e fantastica di Sciara, opera esordiente di Marina Mongiovì, che si unisce alla collana Talè della casa editrice palermitana Kalós. Il libro racconta di un mare invisibile, di una terra deserta e sonnolenta da cui gli abitanti scappano lontano o dove restano fino a morire. Sciara è il paese di provincia in cui Teresa, fin da piccola, trascorre l’estate a casa di sua nonna. Qui, ogni anno, le donne di famiglia si riuniscono come sacerdotesse per celebrare il rito più atteso della stagione: la passata di pomodoro. Tra pentoloni bollenti e foglie di basilico, la canicola pomeridiana porta a rivivere storie leggendarie, ricche di persone e cori, popolari superstizioni e adulteri che si susseguono come nel gioco del telefono senza fili.

 

L’autrice ci accompagna con stile armonioso e sicuro nella narrazione, delineando personaggi e storie senza riserve. A fare da protagonista è una memoria frammentata, l’unica possibile, eppure i suoi pezzi sono dolcemente legati tra loro. «La vita non è una linea retta», afferma una delle voci del racconto, e non lo è nemmeno il romanzo di Mongiovì. È invece un elettrocardiogramma che dalla sua linea principale tratteggia balzi più o meno alti, dove si inseriscono personaggi mistici e ciarlatani, ma anche prostitute e neonate coi denti, cavalli dalle teste mozzate e zie che portano iella.

 

L’esordio felice dell’autrice segna un’attenzione importante a quel substrato vivo che spesso accompagna l’infanzia di tutti, con vicende narrate che somigliano a racconti, a fotogrammi di un mosaico colorato ed elegante, capace di donare vitalità alla lettura. La Sicilia di Sciara è legata a un paesaggio differente rispetto a quello che siamo abituati a immaginare: l’isola descritta è senza mare, ritorta sui suoi confini invalicabili. Le sciare sono le colate di magma dei vulcani che subito si pietrificano facendosi deserto.

 

In quello spazio, tra il vulcano e la pianura, si scrive di un’altra Sicilia, quella che vive in bilico tra il sogno e la realtà, e che si fa ogni pagina sempre più contrastante e vorticosa. A sottolineare l’atmosfera onirica della narrazione, l’isola non viene mai nominata, diventando quasi un luogo segreto e simbolico, dove l’autrice e il lettore si incontrano. Forse si teme che, pronunciandone il nome, smetterebbe di esistere e con sé anche le storie e i personaggi che la abitano.

 

Articolo tratto da La Freccia