In cover, il pittoresco borgo della Corricella a Procida. Sullo sfondo il monte Epomeo dell’isola di Ischia © Carlos Solito

Un’isola di pochi chilometri quadrati, appena quattro per l’appunto, è un luogo dove non si arriva per caso. Piuttosto è una meta che, estate a parte, è decisamente inedita rispetto all’Italia dei luoghi famosi, cosiddetti centrali, annunciati continuamente da claim turistici. Un’isola di pochi chilometri quadrati è un posto dove si decide di andare, arrivare, restare, osservare, riempirsi di lentezza e semplicità.

 

Prima ancora che il Covid-19 paralizzasse e rallentasse il mondo, un appassionato gruppo di sognatori e professionisti iniziavano a mettere insieme gli ingredienti per una nuova ricetta culturale. Fondali cristallini, natura vulcanica, architetture marinare, pittoreschi borghi colorati, riti secolari, palazzi rinascimentali, letteratura, cinema e poesia.

 

A distanza di un anno, lo scorso 18 gennaio, la commissione del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo (MiBACT), dopo aver esaminato i dossier di dieci candidature finaliste, ha premiato come Capitale italiana della Cultura 2022 quella che potremmo definire “la pietanza mediterranea”: Procida. Nome del piatto, ovvero del tema del dossier: la cultura non isola.

 

Ai fornelli, assieme alla cittadinanza e al sindaco Dino Ambrosino, il deus ex machina Agostino Riitano, direttore della candidatura e manager culturale già noto per le virtuose vicende di Matera Capitale europea della cultura 2019, che dichiara: «Si tratta di una vittoria epocale perché la commissione ha compreso che il progetto di Procida incorpora un cambio del paradigma della cultura nel nostro Paese, non solo grandi città d’arte ma anche e soprattutto lo straordinario patrimonio culturale diffuso nei piccoli centri. Siamo convinti che il concetto di “minore” contenga il senso della profezia. La nostra vittoria incarna la rotta del cambiamento delle politiche culturali del Paese».

 

È la prima volta, da quando è stata varata la competizione nel 2014, che si candida e vince un’isola che esprime – nelle sue intime latitudini geografiche, storiche, umane – un inedito marchio di fabbrica per il concetto di cultura le cui risorse, altrettanto preziose, nobili e silenti, impreziosiscono un luogo ai margini, minerale, buono.

Uno scorcio colorato di via Roma © Carlos Solito

Una vera e propria rivincita per le piccole isole d’Italia e del Mediterraneo tutto. La motivazione della giuria al progetto Procida auspica quel senso di rinascita fuori dallo steccato dell’isolamento da pandemia: «È capace di trasmettere un messaggio poetico, una visione della cultura che dalla piccola realtà dell'isola si estende come un augurio per tutti noi, per il Paese, nei mesi che ci attendono».

POESIA DEL MEDITERRANEO

Dai Campi Flegrei, capaci di lasciare senza parole i primi coloni greci, i quali credettero di essere approdati nei luoghi della mitica battaglia tra gli dèi e i Giganti che vollero scalare l’Olimpo, tra alitate di zolfo attraverso crateri, baie, laghi, falesie a picco, si giunge a Capo Miseno. È proprio da questo promontorio, allungato nel Tirreno come un dito a indicare la meta, che si scorge uno dei panorami più belli su Procida.

 

Approdare sull’isola vuol dire rallentare, fare piano, ascoltare. A partire dalle rocce tornite e striate dal mare con “estro geologico”: tra ampie spiagge e insenature sabbiose, i faraglioni di Ciraccio e Ciracciello sono le sculture che più rendono l’idea.

 

A nord-ovest la mezzaluna dell’isolotto di Vivara racconta inequivocabilmente l’origine dell’isola messa su a suon di eruzioni da ben sette crateri, di cui oggi rimangono residui qua e là. Quello di Vivara è sicuramente il più intatto assieme a una natura di lecci, roverelle e macchia popolata, durante i periodi delle migrazioni, da diverse specie di uccelli.

 

Chi cerca la Procida più famosa, quella da romanzo, dovrà mettere in conto colori e mille culture. Quelli pastello dei borghi di Marina Grande, Chiaiolella, Terra Murata e Corricella. I luoghi sublimati da Alphonse de Lamartine nel romanzo Graziella, da Elsa Morante nel capolavoro L’isola di Arturo e da Massimo Troisi nel suo ultimo film Il postino. Un intrico di archi, scalinate e vicoli che, in un presepe di volumi, salgono ripidamente dalle banchine affollate di gozzi colorati e pescatori all’opera tra nasse, reti e carte napoletane.

I due scogli di Ciaccio e Ciracciello sul versante occidentale dell’isola © Carlos Solito

IL TOUR DEI COLORI

Con 44 progetti culturali, 330 giorni di programmazione, 240 artisti e 40 opere originali, nel corso del 2022 l’isola avrà davvero un calendario di eventi senza precedenti per la propria storia. Ogni iniziativa sarà il pretesto per scoprirla, cominciando dallo scenario da cartolina della Marina Grande, meglio nota agli isolani col nome di Sent’Co (da Santo Cattolico).

 

Qui si affacciano bar e ristorantini tipici che propongono il meglio della cucina procidana a base di polpo in umido, spaghetti con alici o ricci, verdure di campo, pesci di nassa o di lenza, fritture di paranza e la storica insalata di limoni con aglio, olio d’oliva, sale, menta e peperoncino.

A un soffio dall’attracco di traghetti e aliscafi turistici, merita una sosta anche la chiesa di Santa Maria della Pietà e San Giovanni Battista, risalente alla prima metà del ‘600. Con un ampio sagrato, tra i simboli della tradizione marinara, custodisce al suo interno, soprattutto sull’altare maggiore, una serie di ex voto che raccontano la grande devozione dei procidani.

 

Per rendersi davvero conto di quanto i pescatori, nel corso dei secoli, abbiano dipinto quest’isola ispirandosi al mare e ai suoi fondali occorre visitare il borgo più antico. Qui il tempo non ha alcun senso e ogni colpo d’occhio è carico di quel magnetismo mediterraneo capace di stregare persino Apple e Microsoft che, qualche anno fa, lanciarono i propri smartphone e tablet utilizzando nelle campagne pubblicitarie scorci fotografici della Corricella.

 

Raggiungibile con una passeggiata di appena un chilometro, si visita al meglio perdendosi nell’intreccio policromo di case, archi, finestre, vicoli e gradinate che sfiorano cupole. Alcune possenti come quella della chiesa barocca a croce greca di Santa Maria delle Grazie – sorta nel 1679 – con cinque altari, stucchi floreali, dipinti del ‘700 di scuola napoletana, arredamenti lignei intarsiati. Affacciata sull’antica piazza di Santa Maria, detta di Semmarezio, offre uno dei panorami migliori dell’intero Tirreno meridionale sulla Corricella e Terra Murata.

 

Oltre al monastero di Santa Margherita, del XVI secolo, la vera attrattiva del borgo è il cinquecentesco Palazzo D’Avalos. Domina quest’angolo dell’isola con un complesso architettonico imponente costituito dalla residenza della famiglia D’Avalos (che ha governato l’isola fino al ‘700), la Caserma delle guardie, il Cortile, gli edifici dei Veterani e delle Celle singole, la Medicheria, la Casa del direttore e il grande orto agricolo della Spianata. A picco sul mare, sarà tra gli otto spazi che verranno rigenerati per accogliere la Capitale italiana della cultura 2022.

Articolo tratto da La Freccia