«Questa estate ho avuto il privilegio di incontrare il mio pubblico, di ritrovarlo ed emozionarmi. Ho riletto in chiave brasiliana le canzoni del mio repertorio e raccontato il nuovo disco, Tropitalia. Non vedo l’ora di tornare a suonare». Con queste parole Mario Venuti, cantautore siciliano raffinato e mai banale, lancia il suo tour invernale. La prima tappa è il 3 dicembre al Blue Note di Milano. Il giorno dopo è nella sua Catania e il 5 si esibisce live a Palermo. On stage, oltre alle sue hit, i brani dell’album che rivisita in mood carioca alcuni capisaldi della musica leggera made in Italy.

 

Com’è nata l’idea di Tropitalia?

Mi è venuta a marzo 2020, durante il primo lockdown, quello più pesante. Mi sono ritrovato in casa e, per passare il tempo, ho rivisto su YouTube vecchi filmati di programmi come Canzonissima. Ho cominciato a suonarne le canzoni, ma vedevo che nelle mie mani diventavano qualcos’altro. Non mi accontentavo delle armonie: le allargavo con suoni brasiliani, più sofisticati, tendenti al jazz.

 

E poi?

Ho trovato il complice perfetto in Tony Canto, anche lui amante della musica tropicalista. Ci siamo messi a lavorare a distanza. Un principio razionale per tutto il processo creativo non c’è stato. Abbiamo cercato di coprire più decadi possibili. Casualmente, però, ci sono molte canzoni anni ‘60 come Non ho l’età e Il cuore è uno zingaro.

 

Come mai?

È stato un periodo d’oro per la musica italiana. Molti di questi brani, infatti, sono conosciuti anche in Brasile.

Ci avete messo tanto per realizzare il progetto?

Ci siamo presi il nostro tempo, visto che non potevamo comunque fare concerti. Molti artisti hanno dato il loro contributo da remoto: Patrizia Laquidara ha cantato a distanza, Joe Barbieri da casa sua a Roma e così anche i percussionisti, vere e proprie star come Mario Refosco che ha suonato dalla sua abitazione newyorchese e Marcelo Costa che ha mandato i file da Rio De Janeiro. Posso dire che è stato un disco realizzato in smart working.

 

Come hai scelto le varie collaborazioni?

Sono persone che hanno un linguaggio comune al mio, non c’è stato bisogno di spiegare nulla.

 

Che tipo di lavoro avete fatto?

Abbiamo agito su tre piani. Il primo è quello ritmico, perché la musica brasiliana avendo origine africana è molto esuberante, complessa e sincopata. Poi il lato armonico, considerato che soprattutto la bossa nova è sofisticata e vicina al jazz e le canzoni sono state riarrangiate per regalare il sapore tropicalista. Infine, il piano del canto in cui ho abbandonato l’ottica pop della voce spiegata, utilizzando un’emissione confidenziale con tonalità più basse. Le melodie non sono state cambiate, ma il modo in cui vengono esposte dà un’idea diversa della composizione.

 

E i brani come sono stati scelti?

Sono pezzi al di sopra di ogni giudizio, patrimonio collettivo e musicale. Non si discutono perché sono molto popolari. Musica leggera con un lato nobile, volutamente esaltato da elementi acustici. Abbiamo classicizzato canzoni che sono di tutti.

 

Il viaggio ha influito nella tua carriera?

È importantissimo. I Beatles, per esempio, sono l’essenza dell’essere britannico e già ascoltandoli ci si immerge in quelle atmosfere. Poi c’è la cultura brasiliana che porta con sé suoni, sapori, modi di vivere. Quando li osservo mi sento un provinciale che guarda il mondo.

 

Cioè?

Fondamentalmente sono sempre rimasto a Catania. E questo guardare l’universo da qui per me è sempre stata la regola, in maniera molto naturale.

 

Presto ti vedremo live. Sei pronto?

Sono molto soddisfatto dell’album. In concerto il risultato è ritmicamente marcato, c’è allegria, saudade e anche le mie canzoni, in mezzo al resto, fanno una bella miscela: si sono tropicalizzate.

Articolo tratto da La Freccia