In cover, Didi Gnocchi © 3D Produzioni

Possiedono l’arte di raccontare l’arte in modo leggero, divertendo, incuriosendo e, allo stesso tempo, riuscendo a interessare il pubblico dei telespettatori e degli ascoltatori. Sono i discendenti diretti di quei giganti della divulgazione culturale che rispondono al nome di Vittorio Sgarbi e del compianto Philippe Daverio. Persone raffinate e di grande preparazione culturale, che parlano in modo semplice ma mai semplicistico, perché quando si parla di cultura banalizzare è un reato. Oltre a lavorare sui set televisivi e negli studi radiofonici, scrivono su giornali e periodici, pubblicano libri spesso bestseller, ideano e curano mostre e cataloghi d’arte. Questo mese abbiamo intervistato quattro di loro.

Nicolas Ballario

Nicolas Ballario © Tiwi

NICOLAS BALLARIO

Come ti sei avvicinato al mondo dell’arte?

Il mio grande maestro è stato il fotografo Oliviero Toscani, che mi ha insegnato ad avere un punto di vista diverso sul mondo dell’arte. Ma il primo che mi diede una rubrica dove scrivere fu Umberto Allemandi, fondatore dell’omonima casa editrice.

Come è entrata la televisione nel tuo percorso professionale?

Ho cominciato con piccoli esperimenti su Rai2 e La7, ma è entrata davvero nella mia vita grazie a Sky Arte. Sono stati il suo direttore e vice Roberto Pisoni e Dino Vannini a credere che io potessi fare tv. Dopo alcune collaborazioni, durante il lockdown hanno deciso di fare una trasmissione per parlare del mondo dell’arte contemporanea che resisteva e si reinventava. Mi hanno chiamato a condurlo e con la casa di produzione Tiwi è stato amore a prima vista. Si chiamava Io ti vedo, tu mi senti, lo giravo tutto da casa mia e registravamo su Skype. Abbiamo dato parola a tanti.

Oggi in quale trasmissione tv sei impegnato?

The Square su Sky Arte, il programma della cultura contemporanea in tutte le sue forme. Prevede interviste in studio e servizi in esterna. A ogni puntata abbiamo una performance di musica o teatro, raccontiamo un anno particolare visto con gli occhi dell’arte, approfondiamo alcune mostre. Poi non manca mai l’agenda con gli appuntamenti della settimana.

Quale ospite del programma o incontro particolare ti ha più colpito?

Quello con Maurizio Cattelan. Lui non parla in pubblico, quindi gli abbiamo fatto un’intervista lontano dalle telecamere e poi abbiamo realizzato un avatar animato dello stesso Cattelan che dava le sue risposte. Il tutto doppiato da Luca Ward, era assurdo.

Quale protagonista della cultura avresti voluto intervistare?

Ce ne sono migliaia, ma un rammarico reale è quello di non aver fatto in tempo con Franco Battiato.

Cos’è per te veramente contemporaneo oggi?

Tutto ciò che non abdica ai grandi temi del mondo. E non basta esserne coscienti, la cultura contemporanea ha il dovere di essere uno strumento di lotta. Alla fine, è la più sofisticata forma di politica e non dobbiamo aver paura di ammetterlo.

 

DIDI GNOCCHI

Come ti definiresti?

Una giraffa che ha allungato il collo nella foresta dell’arte e l’ha trovata buona. Perché le giraffe sono erbivore e l’arte nutre.

Come ti sei avvicinata al mondo dell’arte?

Tardi, dopo i 20 anni. Un giorno un amico portò a casa mia un quadro dicendo che sarebbe tornato a prenderlo l’indomani. Era uno degli specchi con un uccellino di Michelangelo Pistoletto. Rimase appoggiato al muro per mesi. Non sapevo chi fosse l’autore, ignoranza totale. Mi piaceva, però. Finché qualcuno mi chiese come mai avessi un quadro di quel valore sul pavimento. Lo restituii e imparai chi fosse Pistoletto. Oggi, con la mia società 3D Produzioni, l’abbiamo intervistato tante volte e abbiamo già girato due documentari su di lui.

In quali programmi tv sei attualmente impegnata?

Tanti: con 3D Produzioni realizziamo circa 30 documentari all’anno dedicati all’arte e alla cultura che vanno in onda su Rai, Sky, Mediaset o altre piattaforme. E anche filmati per il cinema. L’ultimo è stato Napoleone. Nel nome dell'arte. E poi c’è Artbox, un magazine d’arte settimanale realizzato con la mia società che, dopo alcune stagioni su Sky Arte, ora è inonda su La7. Ritengo un ottimo risultato aver portato l’arte su un canale che ha un pubblico già molto educato all’attualità e alla cultura.

Ci descrivi il format del programma?

Raccontiamo due o tre mostre a puntata, non diamo mai per scontatala conoscenza, cerchiamo sempre di entrare nella vita e nella storia dell’artista. Oltre alle immagini dell’esposizione, contestualizziamo con quelle di repertorio e con interviste. Ogni rassegna deve diventare un piccolo racconto. In ogni puntata, poi, invitiamo un critico, un gallerista e un personaggio del settore a recensire una mostra che ha visto di recente: un commento d’autore, insomma. E quest’anno abbiamo introdotto anche una rubrica dove l’artista, come in un breve talk ispirazionale, spiega il suo primo contatto con l’arte e come questa sia diventata la sua vita.

Quale protagonista del passato avresti voluto intervistare?

Pablo Picasso. Amerei chiedergli se il suo pessimo comportamento con le donne era essenziale al suo lavoro.

Costantino D’Orazio

Costantino D’Orazio

COSTANTINO D’ORAZIO

Come ti definiresti?

Narratore di storie dell’arte. Ho percorso il tema al contrario, partendo dal contemporaneo e attraversando poi l’antico: ne scrivo, ne parlo, lo presento in mostre ideate e curate da me.

Come ti sei avvicinato a questo mondo?

Attraverso il cinema, mio primo amore. Quando ho capito che avevo bisogno di essere sfidato di continuo, sono passato all’arte visiva, che è molto più enigmatica e non si preoccupa di farsi capire.

A quale modello televisivo di divulgazione culturale ti ispiri?

Alla BBC, maestra nel comunicare emozioni attraverso la conoscenza.

Oggi in quale programma tv sei impegnato?

AR Frammenti d’Arte, una rubrica su Rainews24 che in ogni episodio – trai sei e i 10 minuti – presenta un luogo: prendo per mano i telespettatori e li conduco attraverso stanze, angoli nascosti, porte chiuse, condividendo informazioni storiche e curiosità. E poi ci sono Uno mattina in famiglia e Linea verde.

Qual è la tua giornata tipo?

Iniziano tutte con il tragitto da casa a scuola di mia figlia. Poi sono sempre diverse, anche se in realtà pagherei per avere una routine.

Hai dei riti particolari quando lavori?

Non direi, a parte indossare le matite colorate nel taschino della giacca.

Quale ospite del tuo programma o incontro particolare ti ha più colpito?

Rimango sempre stupito dalla passione dei restauratori: svolgono un lavoro prezioso, difficile, delicato e appaiono poco perché spesso sono gli storici dell’arte a prendere la parola. Non dimenticherò mai la passione e l’umiltà di Gianluigi Colalucci, il restauratore del Giudizio universale di Michelangelo. Aveva messo le sue mani su un capolavoro assoluto, ma ne parlava con una semplicità disarmante, come avrebbe fatto Michelangelo stesso.

Qual è l’ospite che ancora non hai avuto e che vorresti?

Vorrei parlare con uno dei custodi del Louvre, per sapere cosa si prova a fare la guardia alla Gioconda, di notte, da soli.

Quale protagonista dell’arte del passato avresti voluto intervistare?

Il pittore Orazio Gentileschi, per sapere tutta la verità sulla violenza subita dalla figlia, un fatto ancora pieno di lati oscuri.

Il tuo sogno nel cassetto?

Parlare d’arte col Dalai Lama.

Elena Del Drago

ELENA DEL DRAGO

Ci puoi tracciare un tuo breve identikit?

Sono laureata in storia dell’arte e, dopo una breve esperienza nella casa d’aste Sotheby’s, ho cominciato a lavorare come critico, curando mostre e cataloghi. Dal 1999 ho cominciato la mia lunga avventura con l’emittente che ho sempre ascoltato, Radio 3, prima in un contenitore chiamato Mattinotre, poi come conduttrice di Aladino. Infine, sotto la direzione di Marino Sinibaldi è nato A3, il formato dell’Arte, in onda ogni sabato su Radio 3 alle 10:50, che ha riportato nel palinsesto una trasmissione dedicata unicamente a questo tema. Nel frattempo, ho lavorato a diversi progetti, a cominciare dalla fondazione di Eddart, uno spazio di consulenza ed esposizione a Roma.

Ci descrivi il programma?

È un format di mezz’ora. Ogni settimana, con la curatrice Cettina Flaccavento, scegliamo una mostra che ci sembra particolarmente interessante e ne parliamo con due interlocutori che possono essere il curatore e l’artista, oppure un esperto del tema in questione. Nella seconda parte ci occupiamo delle ultime uscite editoriali, sempre in campo artistico, presentando cataloghi, volumi e libri con i rispettivi autori.

Quale ospite vorresti tra quelli che ancora non hai avuto?

Maurizio Cattelan. Anni fa girammo un documentario intitolato È morto Cattelan! Evviva Cattelan! e ho passato mesi, con il regista, a seguirne le tracce, a inseguirlo senza mai riuscire ad avere una conversazione con lui che durasse più di cinque minuti.

Qual è la critica più forte che senti di fare al sistema della cultura e dell’arte di oggi?

Il poco coraggio. Mi sembra ci sia una forte omologazione: per diversi anni si è guardato sempre tutti nella stessa direzione, verso le medesime latitudini, proponendo gli stessi nomi. Anche quando ci si è rivolti verso gli outsider, lo si è fatto spesso secondo schemi simili. Mi sembra che ora, però, ci sia un’inversione di tendenza.

Articolo tratto da La Freccia