In cover, Drusilla Foer © Serena Gallorini

Ha fatto davvero un figurone, ieri, la mitica Drusilla Foer nobildonna senese e giramondo. Il piglio senza peli sulla lingua si è fatto amare istantaneamente anche sul palco dell'Ariston, dove ha tenuto ironicamente testa ad Amadeus durante la terza serata del 72° Festival della Canzone Italiana di Sanremo. L'occasione è stata ghiotta per saggiarne - nel caso qualcuno non se ne fosse accorto in programmi tv come The show must go off su La7, StraFactor su SkyUno e #CR4 - La Repubblica delle Donne su Rete 4 - il talento e la verve comica. Del resto, la Foer, sa ben dosare tutte le sue carte e calare l'asso al momento opportuno. Il suo volto, per esempio, ha illuminato il grande schermo nel film Magnifica presenza di Ferzan Ozpetek, ma il boom mediatico è arrivato durante il lockdown grazie alle spassosissime telefonate su YouTube con la donna di servizio Ornella. Poi a ottobre dello scorso anno è uscito il libro Tu non conosci la vergogna e adesso, archiviato l'Ariston, riprende il recital teatrale di successo Eleganzissima, che la impegna (almeno) fino al 14 maggio, nel quale sciorina tutte le sue doti di “anziana soubrette”, come lei stessa si definisce.

 

Libri, tv, web, teatro, ora anche Sanremo. Drusilla, si è mai chiesta perché piace così tanto?

Credo per la mia lealtà: ho saputo confrontarmi con diverse visioni della vita, senza pregiudizi. Se non si conosce il baccalà è inutile dire che è un piatto volgare, bisogna prima assaggiarlo. È fondamentale aprirsi alle opinioni per poter scegliere, la scelta è il piatto principale della libertà. Credo sia questo che piace. E poi sono terribilmente simpatica.

 

Qual è il suo rapporto con il viaggio? Nel libro ne parla tantissimo.

Ho una certa attitudine all’inaspettato, sono portata all’incanto. Spero mi venga rivelato qualcosa che non conosco: un’estetica, una poetica della vita che integra ciò che so dal punto di vista emotivo. Qualche viaggio ha cambiato anche le mie convinzioni e priorità. Preferisco girare in paesi dove posso entrare più in contatto con le persone del luogo.

Per esempio?

Quand’ero ventenne, quindi ampiamente nel secolo scorso, sono stata a Istanbul, in Turchia. Mi ha sedotta in quanto diga tra Occidente e Oriente. Una metropoli desiderata dagli occidentali: dentro ci sono Londra, Roma, Bisanzio, Parigi, ma anche un pezzo d’Austria con i suoi palazzoni ottocenteschi. È vivace, vitale, educata, ha grande dignità. Sono rimasta incantata dall’autorevolezza di chi ha visto, da sempre, la propria cultura cannibalizzata da altri. Basti pensare che Santa Sofia era la cattedrale più grande prima di San Pietro, mentre adesso ospita un altro culto. Amo le città che metabolizzano altri modi di vivere come, in Italia, Palermo, Genova e Napoli.

 

Il ricordo più vivido di Istanbul?

All’ora del tramonto inizia un suono religioso che riecheggia in tutta la città, è una spiritualità che irrora le strade. Mi piacciono i luoghi abitati da popoli con una personalità molto delineata.

 

In Italia quali sono?

Sicuramente i sardi, che adoro: diffidenti, poco espansivi, ma molto attenti e sarcastici. Ti analizzano, capiscono chi sei, partecipano dicendo sempre la propria opinione. Il popolo che amo più di tutti, però, è quello dei livornesi, intelligenti e sagaci anche nell’aggressività. Mai litigare con uno di loro. Poi mi piacciono il garbo dei torinesi e l’espansività dei meridionali. Ogni luogo ha il suo valore, contiene una storia che produce una modalità diversa di vivere. Forse i peggiori siamo noi toscani, molto presuntosi. Del resto, il Rinascimento è durato solo 90 anni (ride, ndr).

 

Drusilla e il treno?

Per me è il luogo dell’aspettativa, dei pensieri, delle intenzioni, della progettualità e dell’incontro, anche senza dialogo. Poi c’è il pudore: l’ascolto delle altre persone è calmo, senza imporre il proprio pensiero in maniera aggressiva come potrebbe capitare in un bar dopo qualche gin tonic in più. Naturalmente, il treno è anche un buon punto di osservazione: da bambina, quando tornavo in Europa, c’era un treno da Londra a Edimburgo. Andavo molto spesso in Scozia, dove mia mamma aveva una zia simpaticissima. Nel vagone guardavo le persone ipotizzando la loro vita. Attribuire a ogni faccia una storia è tipico del treno. C’è un sistema di comportamento che non esiste da nessun’altra parte.

 

Ora è in tour, poi sarà a Sanremo, e di nuovo nei teatri. Cosa vorrebbe che portassero a casa gli spettatori?

L’emozione, che motiva le nostre azioni. Sono contenta quando la gente esce commossa. Dopo la popolarità ottenuta per le telefonate con l’orrida Ornella e le mie pessime amiche, il pubblico pensa di trovare uno show di battute. Metto sul tavolo le mie carte mostrandomi vispa, croccante, ma al tempo stesso malinconica, fumé, crepuscolare. Le persone si trovano in contatto con l’inaspettato, ricevendo spunti di riflessione.

 

Me ne dice uno?

La diversità, parola che detesto e alla quale preferisco il termine unicità, non comparativo. Non è facile accettare di essere unici, di avere un talento o una fragilità. Se capisco bene ciò che sono ho più possibilità di esprimerlo e, poi, di accogliere quello che rappresentano gli altri. Insomma, di essere una persona libera. Solo quando si è liberi si permette la libertà altrui, anche se non la condividiamo.

Articolo tratto da La Freccia