Viaggiare per mondi infiniti percorrendo latitudini terrestri come fossero cerchi concentrici negli alberi. E, via via che gli anelli crescono con il tempo e lo spazio, sommare vite a vita. Una, due, quattro, mille. Tutte quelle delle persone intercettate.
Peppe Voltarelli, cantautore del nostro tempo, nomade per indole, cesellatore di parole e artigiano della musica, ha appena fatto uscire Planetario. Diciassette tracce, pubblicate da Squilibri, che sono un concentrato di 15 anni di viaggi: «In solitaria con la mia chitarra, percorrendo il percorribile», spiega. Suonando tra un continente e l’altro, per festival internazionali, tournée lontane, dischi in lingua, collaborazioni importanti. «Ora li voglio raccontare e condividere, per donarli agli altri».
Planetario è un disco, ma non solo: un piccolo pamphlet di contributi e storie, oltre a una galleria prêt-à-porter con le opere e la grazia compositiva dell’artista Anna Corcione. Un progetto che arriva da lontano, parte in littorina da Mirto, nel Cosentino, e arriva in Canada, nel Québec, passando dalla Russia. Sale per strade e per boschi, percorre le vie di New York, attracca nel porto di Amsterdam, grida all’alba senza sbraitare, avanza senza sgomitare.
La canzone d’autore mondiale, da Jacques Brel a Bob Dylan, da Leo Ferré a Vladimir Vysotskij, è la protagonista che Voltarelli interpreta e fa sua con profondità vocali e vibrazioni che sanno di legno maturo. «Ho raccolto i brani di ogni dove e le voci di quelle terre con cui ho un legame forte: Argentina, Spagna, Francia, Belgio, Usa, Canada, Olanda, Russia, Cuba e, naturalmente, l’Italia, a partire dalla mia Calabria».
L’unico confine che ha posto è stato quello della qualità, selezionando la melodia in cui riconoscersi, senza compromessi. «Le canzoni sono un po' come la famiglia: alcune le erediti, altre, crescendo, le scegli e con quelle ti schieri. È complicato, a volte faticoso, ma io voglio stare con questi artisti qua, affrontare testi di grande spessore di cui mi fido».
Duetti con Joan Manuel Serrat, tra i più celebri autori spagnoli e catalani, Adriana Varela, voce del tango, il cubano Silvio Rodríguez e il cantautore e musicista Amancio Prada. Un amalgama di terre e suoni, schiocchi di chitarra sudamericana odorosi di rivoluzione, fisarmoniche francesi che fanno pensare alla pioggia di Montmartre, ballate andaluse dense di caldo.
Peppe Voltarelli © Angelo Trani
Occorre ascoltarlo e riascoltarlo Planetario, perché è pieno di incontri, fantasmi, citazioni, rimandi, suggestioni. Dentro ci sono le prostitute e le madonne di Fabrizio De André, i marinai di Francesco De Gregori, le borgate di Pier Paolo Pasolini, le liriche di Sergio Endrigo o le genti di Francesco Guccini. «C’è l’umanità meno spettacolare e più vera. Pochi personaggi e tante persone. Soprattutto, ci sono vite frantumate, fallite, che si fermano ma poi ripartono».
Donne che amano, operai, condannati a morte, marinai nerboruti, buffoni di corte, anarchici, poeti, pastori e rivoluzionari. «La musica è un passaporto senza fogli che ti porta ovunque e sottintende solo alle regole dell’empatia e della condivisione. Accomuna, allontana la paura del diverso e mi permette di annusare l’umano».
In sottofondo, quella mestizia insolente e consapevole che solo chi sceglie di scavare e ricercare, senza valutare opportunità e successo, si porta addosso come una seconda pelle. «La malinconia di chi si sente controcorrente», confessa, «di chi forse ha paura di scomparire per tutta la libertà che racconta. Ma, se non avessi questo pizzico di dolore, non avrebbe senso fare musica. Che non è esercizio o soldi o competizione. È una terapia, un modo di vivere, la mia lente sulle ingiustizie del mondo».
La poesia di Voltarelli trasuda di scelte e fatica, ma offre la possibilità di salvarsi e difendersi.
Articolo tratto da La Freccia