In cover, Monica Bellucci © A. Lanzuisi

La sua carriera di modella è iniziata a Milano, quella di attrice a Roma. Ma il successo internazionale è arrivato quando Monica Bellucci si è trasferita a Parigi, dove ha lavorato subito tanto, tra copertine e servizi importanti. «Nel cinema è andata allo stesso modo. Ho cominciato a Roma, ma è nella capitale francese che ho girato il mio primo film da protagonista, L’appartament. Poi c’è stata la prima pellicola americana, Under suspicion, con Gene Hackman e Morgan Freeman. Dopodiché Malena, di Giuseppe Tornatore, mi ha aperto molte porte: da lì non mi sono più fermata».

 

A novembre Monica ha interpretato a teatro Maria Callas, mentre al cinema fino al 3 dicembre è Anita Ekberg, La ragazza nella fontana, diretta da Antongiulio Panizzi. E, dal 30, diventa la protagonista del film La Befana vien di notte 2 - Le origini, prequel della pellicola uscita nel 2018 con Paola Cortellesi.

È stato difficile trasformarti in una strega?

Il mio personaggio si chiama Dolores ma è più una fata, perché usa la magia per fare del bene e aiutare i figli delle streghe bruciate sui roghi. Tra questi bimbi c’è una ragazzina speciale, interpretata da Zoe Massenti: per scoprire perché bisogna vedere il film. È stata veramente una bella esperienza girare questo fantasy movie italiano con Fabio De Luigi, Alessandro Haber, Corrado Guzzanti e tanti bambini meravigliosi.

 

Un film che saprà emozionarci e divertirci, quindi.

Non mi capita spesso di essere diretta da una donna, visto che ho lavorato soprattutto con registi uomini. Mi è successo con Alice Rohrwacher, Maria Sole Tognazzi e Rebecca Miller. E ora con Paola Randi, che per il prequel sulla Befana ha saputo calarci con grande sensibilità in un mondo onirico e profondo al tempo stesso. Mi sono trovata molto bene con lei: un cast bellissimo e un film ricco di umanità e poesia, di cui abbiamo molto bisogno in questo momento. Non vedo l’ora che esca.

 

C’è differenza tra una regia femminile e una maschile?

Sicuramente lo sguardo può essere diverso. Con una donna si creano altre modalità di comunicazione, una sorta di non detto, perché tra noi ci si capisce anche senza parole. Poi è tutta una questione di energia.

 

Quanto ti diverti sul set?

Per me è fondamentale, quando lavoro voglio lasciarmi prima di tutto ispirare. E la mattina mi alzo piena di energie perché sto facendo qualcosa che mi piace.

Monica Bellucci in una scena del film La Befana vien di notte 2 - Le origini

Monica Bellucci in una scena del film La Befana vien di notte 2 - Le origini © A. Lanzuisi

Periodo intenso questo: a teatro hai interpretato Maria Callas, mentre al cinema sei Anita Ekberg.

È facile accettare proposte così interessanti, quasi un gioco tra ciò che scegli e ciò che ti arriva. Come accaduto con la proposta di Tom Volf per lo spettacolo teatrale Maria Callas. Lettere e memorie: le lettere inedite della cantante erano così belle e profonde che non ho potuto dire di no alla mia prima volta in teatro. Lo stesso è accaduto con Panizzi e il suo progetto su Ekberg, La ragazza nella fontana, così curioso e diverso, un film documentario che offriva l’opportunità di ripercorrere attraverso i miei occhi e il mio sguardo il vissuto di questa donna e diva. Progetti che mi hanno fatto crescere come attrice.

 

L’interpretazione di ruoli biografici è fatta più di studio o intuito?

Un misto di entrambe le cose. Nel mio caso, quando scelgo un ruolo biografico ho una reazione innanzitutto “di pancia”: alcuni elementi mi raggiungono profondamente e muovono interrogativi che voglio approfondire, così da poter maturare anch’io. Perché in un lavoro come il mio, fatto di successi e insuccessi ma anche di film mai usciti, ciò che conta è la crescita personale. Per Callas è stato difficile esordire sul palcoscenico, avevo paura, ho sofferto molto, ma superate le difficoltà ho potuto vivere un’esperienza diversa.

 

In teatro cadono le protezioni, il pubblico è lì davanti. Quali emozioni hai provato?

Una paura tremenda (dice con l’espressione da film horror, e poi ride, ndr).

 

Come l’hai superata?

Mai vinta, è sempre presente, mi piacerebbe sapere come si sconfigge, ma non esiste un modo. Salgo sul palcoscenico, mi concentro sul testo e su ciò che sento e di colpo passa tutto, mi dimentico di avere paura. Dicono comunque che sia necessaria per far bene. Poi c’è il rapporto diretto con il pubblico, senza filtri, così diverso dal cinema, perché dalla platea del teatro ti arriva tanta energia. E la relazione che si crea con chi assiste allo spettacolo è molto bella, di comunione e di scambio. A teatro l’attore mostra anche la sua parte più vulnerabile: lì si vede l’anima delle persone, dice qualcuno. Non so se sia vero, ma senz’altro sei a nudo.

Monica Bellucci è Anita Ekberg nel docufilm La ragazza nella fontana

Monica Bellucci è Anita Ekberg nel docufilm La ragazza nella fontana

A proposito di energia. Modella, attrice e cittadina del mondo: una vita ricca di emozioni.

L’energia vitale è imprescindibile, un fatto scientifico, fa parte di noi. Gli avvenimenti possono fartela perdere, a volte senti che tende a scemare. Per questo dobbiamo sempre tenerla viva, anche quando non è per nulla facile.

 

Da tanti anni vivi a Parigi. Che cosa ti affascina di questa città?

La straordinaria offerta culturale, continua e sempre originale, dal teatro alla musica, dall’opera alle mostre d’arte fino ai grandi eventi internazionali. Se cerchi cultura qui hai l’imbarazzo della scelta. Parigi è un nido che accoglie artisti, pittori, scrittori, attori da tutto il mondo. Uno scambio culturale intenso e a doppio senso: Jean-Louis Trintignant e Alain Delon hanno lavorato molto in Italia, così come Claudia Cardinale, Lea Massari, Monica Vitti e Marcello Mastroianni, che qui sono amatissimi.

 

Esiste qualcosa che i francesi sanno fare molto bene e gli italiani non impareranno mai?

Penso che i due popoli abbiano in comune la diplomazia, ma la mettono in campo in modo differente. Due diverse chiavi che consentono di aprire le medesime porte. Una differenza forte, però, esiste: i francesi, anche quando hanno grandi disponibilità economiche, non ostentano, non danno a vedere nulla, secondo il motto vivons caché, vivons heureux (viviamo nascosti, viviamo felici). Gli italiani, al contrario, anche quando non hanno nulla vogliono far vedere di avere tutto.

 

Parigi è una città anche molto attenta all’ambiente, lo si percepisce?

I giovani si rapportano con le problematiche green in modo puntuale e consapevole. Lo vedo con le mie figlie, hanno una sensibilità molto maggiore di quella che avevamo noi ai loro tempi.

 

Ti piace viaggiare in treno?

Sì, è un momento dedicato a me stessa, in cui mi sento in diritto di pensare a quello che voglio. È talmente bello guardare i paesaggi che sfilano davanti agli occhi lasciando andare la testa. Siamo sempre presi da mille cose che quasi perdiamo l’occasione di vivere un momento così particolare.

 

Cosa apprezzi e cosa detesti nelle persone?

Non amo etichettare gli altri, siamo tutti diversi, con pregi e difetti. Poi con gli anni si diventa più compassionevoli, da giovani è tutto bianco o nero, con l’età si ha meno voglia di giudicare.

 

Il profumo della tua infanzia?

Sono cresciuta a Città di Castello, in provincia di Perugia, se chiudo gli occhi sento in casa un profumo di vaniglia che qualcuno aveva addosso. Un odore infantile che ha qualcosa di innocente, come se si volesse vedere solo la parte zuccherata dell’esistenza.

 

Ami stare ai fornelli o preferisci sederti a tavola?

Non sono una bravissima cuoca, anche se le mie figlie sostengono il contrario. D’altronde, cucinare è una dimostrazione d’amore. Però apprezzo molto andare a casa di amiche brave ai fornelli, intorno alla tavola si vivono momenti di condivisione e affetto importanti.

 

Il fascino è un’arma o una qualità?

Quello vero ce l’hai senza nemmeno saperlo, è qualcosa di naturale. C’è e basta.

Articolo tratto da La Freccia