In cover, Ivana Lotito in una scena della quinta stagione di Gomorra © Marco Ghidelli
Protagonista femminile della serie cult Gomorra, che torna su Sky dal 19 novembre, e interprete di ruoli profondi, porta sul piccolo e grande schermo storie intense e a volte sofferte. Ma il suo volto di donna è aperto e solare, la sua vita ben bilanciata tra l’impegno professionale di attrice e il duplice ruolo di moglie e mamma di Diego ed Edoardo. Tanto che, con treno prenotato e biglietto in mano, all’ultimo Ivana Lotito ha voluto rinviare il nostro viaggio: «Edoardo è raffreddato, preferisco restare con lui».
Mamma e attrice: ruoli compatibili?
La gestione non è poi così complicata. Nel mio lavoro vivo momenti molto intensi e quando sono sul set, magari, viene mia mamma a darci una mano, ma ho anche periodi più statici durante i quali posso trascorrere molto tempo con i miei figli. Certo, dal punto di vista psicologico si vive qualche difficoltà in più. Quando preparo un personaggio ho bisogno di concentrazione, solitudine, di vivere conflitti e tensioni, dialogare con alcune persone, immergermi nella storia. Per loro è incomprensibile. Diego mi ha visto recitare in Rosa Pietra Stella, dove ero la mamma di Ludovica Nasti che mi diceva: «Sei una brutta mamma, mi fai schifo». E lui le rispondeva: «Non è vero, mamma è bella, è brava».
Hai esordito a teatro nel 2005, poi hai avuto un crescendo professionale con ruoli sempre più importanti. Sei felice?
Sì, anche se non ho ancora fatto completamente pace con il mio mestiere, a volte precario, che mi porta sempre alla ricerca di qualcosa e mi lascia spesso un’inquietudine di fondo. Sono sicura di mettercela tutta per raggiungere l’obiettivo a livello di preparazione, sforzo, studio. Poi vado a un provino e mi sembra sempre la prima volta.
Quando è scattata la voglia di fare l’attrice?
Ero bambina e già avevo capito ciò che amavo di più, poi ho scoperto che quella sensazione si chiamava recitare. È stato un percorso naturale, mosso da entusiasmo e convinzione. Sono andata via di casa dopo il liceo da Corato, in provincia di Bari, dove sono cresciuta, per venire a Roma. Ho fatto qualsiasi tipo di lavoro, non è semplice gestirsi da sola a 19 anni, ma avevo dalla mia parte i genitori, che mi hanno sempre sostenuta.
L'attrice Ivana Lotito con il giornalista Andrea Radic
Al tuo debutto a teatro erano presenti?
C’erano, felici e orgogliosi di vedere in cosa si traduceva la passione di cui parlavo sempre.
Riuscirci è stata dura?
Non mi sono mai adagiata, ho studiato all’università e frequentato scuole di recitazione. Non l’accademia, perché non mi hanno presa, ma forse è stato meglio così. Non penso che recitare possa essere un mestiere improvvisato o che si ottiene solo con la fortuna o le qualità estetiche. Necessita, invece, di grandi sacrifici. Anche se a volte la scelta di un attore non dipende solo dal talento, ma intervengono fattori che purtroppo non hanno a che fare con la preparazione. Ma la fiducia e la fermezza in quello in cui credi ti fanno andare avanti: per me, dopo quel debutto, le opportunità sono venute abbastanza rapidamente. A volte ho dovuto ricordarmi di avere il fuoco dentro, ma non ho mai pensato di mollare perché fare a meno di recitare sarebbe come rinunciare a una parte di me.
Poi è arrivato Gomorra, che ha riconosciuto ampiamente il tuo talento.
È stata una macchina meritocratica, capace di premiare i talenti sia a livello artistico che tecnico. Personalmente mi sono sentita apprezzata, stimata.
Il 19 novembre parte la quinta e ultima stagione, il capitolo finale. Cosa dobbiamo aspettarci?
È stata un’esperienza totale sia a livello umano che professionale, con aspetti quasi magici di intreccio personale: ero incinta e ho partorito sia nella finzione che nella vita. Una sorta di energia soprannaturale regolava il meccanismo. È una serie che darà grandi emozioni, intensa, che va oltre ciò che abbiamo vissuto nelle precedenti. Siamo stati audaci in tutto.
È più interessante confrontarsi con i personaggi che interpreti o con i registi che ti dirigono?
Sono un’attrice che deve essere diretta, da sola non vado da nessuna parte. Ho bisogno di stimoli per diventare incisiva, rigorosa con me stessa. Alcuni registi hanno tirato fuori un lato che neanche credevo di avere. Poi, certo, il personaggio è il primo passo, deve risultarmi interessante. Ma con il tempo ho capito che, senza lo sguardo del regista, il personaggio per me più stimolante può diventare piattissimo, mentre quello che mi appariva banale può risultare molto efficace e divertente. È sempre la chiave di lettura a fare la differenza, insieme alla sensibilità, alla ricchezza interiore e a una certa osservazione del mondo.
Dove trovi la tua carica interpretativa?
Ha a che fare con l’intimità, con una storia personale che c’è oppure no. Nella mia vita sono stata segnata da fatti belli e brutti, ed è nell’esperienza che rintraccio la fonte di un dolore o di una gioia. Cerco sempre di basarmi su qualcosa di vissuto, anche se i drammi cui faccio riferimento sono inferiori a quelli della finzione, e mi fermo nel ricordo di quel sentimento, tono, suono, odore che mi consentono di ricrearlo. Poi c’è l’empatia necessaria per assorbire e rivivere ciò che qualcun altro sta vivendo. Forse è questa la capacità attoriale: fare propria un’emozione.
Parteciperesti a un film comico?
Mi piacerebbe, anche per sfatare questo mito del mio essere oscura e drammatica.
Hai un buon rapporto con la tua famiglia d’origine e le tue sorelle. Se i tuoi genitori non salgono a Roma scendi in Puglia per stare un po’ con loro. Come ti accoglie tua madre?
Dimostra il suo amore in modo meno fisico di ciò che ci si potrebbe aspettare da una donna del Sud. Si prende cura di tutti noi, figlie e nipoti, ma è concreta più che sentimentale, e io ho preso da lei.
Ti piace il rapporto con il pubblico? Sei disponibile ad ascoltare chi magari ti ferma per strada?
Ancora mi sorprende che le persone mi riconoscano, che vogliano scattare una foto con me e farmi un complimento. Quindi sì, mi fa molto piacere. Ma senza esagerazione, come quando mi chiesero una foto al pronto soccorso dell’ospedale mentre consolavo mio figlio che piangeva.
Cosa non sopporti e cosa ti piace nelle persone?
Odio la presunzione, la supponenza e il maschilismo: l’odore di patriarcato non mi va giù. Apprezzo l’accoglienza, la generosità e l’assenza di pregiudizi.
Il tuo rapporto con il tempo?
Mai sentito come una minaccia, né pensato di averne perso, perché ho vissuto intensamente. I primi segni del tempo li vedo nel fatto di essere più realistica, forse un po’ cinica.
Qual è il profumo della tua infanzia?
Il ragù della domenica che preparava mia mamma. Mi svegliavo e c’era questo profumo nell’aria, insieme a quello di pavimento pulito, di detersivo. Nella mia famiglia, qualunque cosa accadesse, a pranzo e a cena si stava a tavola tutti insieme. E questo mi è rimasto.
Articolo tratto da La Freccia