Risponde al telefono e la sua voce teatrale è inconfondibile. Monica Guerritore, indiscussa protagonista della cultura italiana, racconta il suo viaggio futuro, la sua idea di teatro, i volti femminili del suo prossimo spettacolo e indica ai giovani cosa vuol dire essere attori, veri.

 

Il tuo più bel ricordo di un Natale passato?

A casa con le mie bambine, Maria e Lucia, quando erano molto piccole. Io e il padre, Gabriele Lavia, da attori, abbiamo inscenato l’arrivo di Babbo Natale. Gabriele sarebbe dovuto entrare bofonchiando solo due parole. Invece si è intrattenuto in un lungo monologo fino a quando una delle due bimbe si è insospettita e l’ha quasi scoperto.

 

Il viaggio che si augura di fare?

Io adoro il Grande Nord. Vorrei andare alle Isole Svalbard, al Polo. E poi, se fossi più giovane, punterei a Marte, perché prima o poi l’uomo ci arriverà.

 

Nella speranza che il Covid-19 ci abbandoni presto, cosa ha imparato in questi mesi?

È un’esperienza talmente dirompente e lunga da essersi già sedimentata dentro di noi. Conserveremo la consapevolezza di non essere onnipotenti e immortali, per riscoprire il senso spirituale dell’esistenza. E forse alla fine di tutto avremo imparato a convivere con la solitudine, sentendoci più simili l’uno all’altro. Penso, infine, che siamo usciti dal frastuono, da alcune dipendenze e schizofrenie del passato.

Monica Guerritore interpreta Giovanna d’Arco

Monica Guerritore interpreta Giovanna d’Arco

Quanto può aiutarci la cultura in questo momento? Lei ha proposto al presidente del Consiglio un progetto per la tv, in cosa consiste?

Credo che il teatro abbia la forza di far riflettere sulle dinamiche complesse degli esseri umani. Durante gli ultimi Stati generali della cultura ho chiesto di poter adattare la narrazione e i testi teatrali al mezzo televisivo, una volta a settimana, il pomeriggio del sabato o della domenica.

 

Lo spettacolo Quel che so di lei, prodotto dalla Fondazione Teatro della Toscana, che lei dirigerà e interpreterà nei prossimi mesi al Teatro della Pergola di Firenze, racconta il femminicidio di Giulia Trigona, avvenuto nel 1911…

La vittima era la zia di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, scrittore e aristocratico palermitano. Sposata con l’allora sindaco di Palermo Romualdo Trigona, subisce un crollo mentale a causa del tradimento del marito. A una festa, alla quale si reca tutta vestita di nero, incontra Vincenzo Paternò, un arrivista che vede in lei una preda. Si lascia travolgere in una relazione, ma verrà uccisa dal suo amante in un albergo di Roma.

 

La storia racconta anche la molteplicità del femminile attraverso l’aiuto di sette donne. Perché ha scelto proprio loro?

Sono emblematiche: ognuna di loro, chiusa in una stanza, racconta un momento fatale della vita. Si tratta di donne dell’800 prigioniere di amori turbolenti, quasi tutte nate dalla letteratura, a eccezione di Oriana Fallaci. Sono personaggi che continuano a tenere imbrigliate anche le donne contemporanee che, invece, dovrebbero distaccarsi da loro.

 

Sul palco anche sette allieve diplomate. Cosa insegna di solito ai giovani attori?

Che il nostro mestiere ha una forza misteriosa capace da millenni di far sognare a occhi aperti e rendere le ombre vive. Andare a teatro è sistemare il caos. Essere attori vuol dire condividere un modo di essere del personaggio che interpreti, dargli cuore, carne e intelligenza.

 

Lei ha ricoperto molti ruoli drammatici e seri. Un personaggio differente?

In una prossima serie tv sarò Fiorella Totti. Mi sono divertita a vestire i panni di una donna romana semplice, che ha fatto di tutto per spronare il figlio Francesco a diventare un campione di calcio.