Sempre impeccabile, camicia bianca con gemelli ai polsi, cravatta e abito scuro, a 80 anni compiuti Umberto Vattani non ha ridotto gli impegni della sua agenda quotidiana. L’uomo che è stato, tra l’altro, consigliere diplomatico di numerosi Presidenti del Consiglio e sherpa per i vertici G7, l’unico funzionario nella storia della Repubblica italiana ad aver rivestito per due volte la carica di segretario generale del ministero degli Affari esteri, oggi da diplomatico a riposo contribuisce ancora a fare della cultura uno strumento strategico della nostra politica estera. Il suo campo d’azione privilegiato rimane l’arte contemporanea. E il suo segreto è l’amicizia con gli artisti, quel rapporto che diventa conoscenza personale, reciproca stima e libero confronto. Con l’inconfondibile stile garbato del grand commis d’Etat, Vattani racconta appassionatamente il suo ultimo progetto portato a compimento, mentre il pensiero già gli corre verso l’ideazione del successivo. Così, mentre si accomoda alla Farnesina su un divanetto di pelle per la nostra intervista, mi descrive la mostra che ha appena concluso alla Venice International University (di cui è presidente), la bi-personale nella città lagunare di 14 fotografie di Ralph Gibson in dialogo serrato con altrettanti acrilici su tavola di Antonia Di Giulio, definita da Achille Bonito Oliva, che ne ha curato il progetto espositivo, «la duchessa di Valmont della pittura italiana».

Ministero degli Affari esteri, piazzale della Farnesina. Foto di Giorgio Benni

L’incontro della sua vita con l’arte parte da molto lontano e con uno dei giganti del ’900 italiano, Piero Dorazio. «Debbo a mio padre se, da giovanissimo – racconta Vattani – ho conosciuto Piero Dorazio. Mi aveva regalato, come premio per la laurea, un viaggio a Firenze e Venezia, e proprio in quei giorni del 1960 si teneva a Venezia la XXX Biennale. Fu lì che incontrai Piero per la prima volta e ammirai i suoi monocromi poggiati alle pareti come tante porte aperte sull’infinito: lui aveva appena 33 anni e in tasca l’invito della Pennsylvania University a riconcepire e dirigere il dipartimento di Belle Arti presso la School of Fine Arts. Io, invece, dagli Stati Uniti tornavo: una borsa di studio Fulbright mi aveva aperto le porte della Wesleyan University, nel Connecticut. Di Dorazio avevo già sentito parlare, insieme a Mark Rothko, avendo visitato a New York la galleria di Leo Castelli». L’amicizia con Piero (presto allargata ad altri artisti riuniti nel gruppo Forma 1, come Pietro Consagra, Achille Perilli, Carla Accardi, Antonio Sanfilippo e Giulio Turcato) diviene con il passare del tempo sempre più stretta, accompagnando l’evoluzione della carriera diplomatica di Vattani, a partire dai suoi anni di Londra (1969-74) presso l’ambasciata d’Italia. «Io e Piero passammo un po’ di tempo insieme a Londra e una sera andammo ad ascoltare una sessione jazz a Soho. Era la musica che più amava – memorabile resta in me la sua passione per Charlie Parker, Thelonious Monk, Charles Mingus, Miles Davis, John Coltrane, Bill Evans – e che propiziava, in sottofondo, il suo gusto per una conversazione incentrata su Matisse ed Ezra Pound». A Londra Vattani torna in ambasciata come ministro consigliere dal 1983 all’86 e, proprio in questo periodo, riesce a ottenere dal sindaco di Westminster le autorizzazioni necessarie per realizzare a Mayfair una fontana con una grande scultura di Emilio Greco. 

Nereide, fontana di Emilio Greco a Londra. Foto di Salvatore Mancuso

Negli anni seguenti, con l’intento di rafforzare il dialogo con l’estero dell’arte italiana più autentica, relazionandola anche con realtà geografiche e culturali molto lontane, Vattani prosegue (senza costi per il contkounelliribuente italiano – come tiene a precisare – ma grazie al reperimento di sponsorizzazioni private) la sua paziente semina di opere monumentali in città internazionali, come Il colpo d’ala di Arnaldo Pomodoro installata di fronte al Teatro dell’Opera di Los Angeles per celebrare il Piano Marshall (1988); oppure nel caso di Sfera con sfera, sempre di Pomodoro, posizionata nel piazzale delle Nazioni Unite a New York (1996), a sottolineare il rilevante impegno dell’Italia nelle missioni e operazioni di pace nel mondo. E, ancora, Miracolo - L’idea di un’immagine, la grande scultura equestre di Marino Marini collocata a Berlino (1997), vicino al Reichstag, quale tributo dell’Italia alla riunificazione della Germania e dell’Europa. L’elenco potrebbe continuare oltre, dalla scultura equestre Zenith di Mimmo Paladino installata a Bruxelles nella piazza della sede del Parlamento Europeo (2003) al monumentale Bifrontale di quattro metri per sei di Pietro Consagra disposto, invece, davanti alla sede di Strasburgo del Parlamento Europeo, sempre nel 2003.

 

Chiave di volta della missione di diplomazia culturale di Vattani è, tuttavia, l’ideazione e realizzazione a Roma, nel 1999, dell’ormai famosa Collezione Farnesina nelle sale del ministero degli Affari esteri. Più che una collezione, si tratta di veri e propri percorsi nell’arte italiana del XX secolo, dal Dopoguerra, con le opere degli artisti di Forma 1, Origine, dell’Arte povera e della Transavanguardia, fino ai nostri giorni. E, grazie allo storico dell’arte Maurizio Calvesi, presto con uno sguardo allargato anche ai primi decenni del ’900, dal Futurismo alla Metafisica, da Mario Sironi ad Arturo Martini. Scopo della Collezione Farnesina è, per Vattani, quello di proiettare un’immagine contemporanea del nostro Paese attraverso la sua ricerca artistica recente, nella convinzione che quest’ultima non abbia nulla da invidiare alle glorie dei secoli passati, più conosciute. Per questo motivo la Collezione ha anche lasciato più volte l’austera e imponente sede ministeriale romana progettata da Enrico Del Debbio, per essere esposta altrove, in occasione di eventi quali il G8 di Genova nel 2001 e la Triennale di Milano. All’estero ha lasciato testimonianza nelle principali capitali europee, fino ad approdare in India, Giappone e America Latina. 

Jannis Kounellis, Senza titolo (2001). Foto di Giorgio Benni

Sono numerosi gli aneddoti che costellano la formazione di questa raccolta. Uno riguarda anche Jannis Kounellis, figura centrale dell’Arte povera, che per la Collezione realizzò un’installazione scegliendo la parete proprio davanti all’ufficio dell’allora ministro per gli Italiani nel mondo, Mirko Tremaglia. Non fu anticipato nulla al ministro del progetto, venne Kounellis direttamente a montare il suo lavoro: armato del suo trapano Black & Decker fissò al muro due travi di ferro su cui poi sistemò alcuni sacchi di carbone. Quando sopraggiunse il ministro Tremaglia, rimasto sorpreso e interdetto a questa vista, chiese subito spiegazioni. E Vattani gli spiegò, diplomaticamente (è il caso di dirlo), che forse quell’opera poteva ricordare a entrambi quelle loro annuali visite a Marcinelle, in Belgio, e il carbone la tragedia mineraria che lì aveva colpito 262 minatori, 136 dei quali erano italiani. Allora Tremaglia si calmò e non ebbe più nulla da ridire.

 

La Collezione Farnesina è stata realizzata sin dall’inizio senza gravare sul bilancio dello Stato, attraverso la formula del comodato d’uso gratuito concesso da artisti e collezionisti grazie alle amicizie e ai rapporti personali coltivati nei decenni da Vattani. La scelta del comodato delle opere consente anche alla Collezione di rimanere sempre aperta, di essere modificabile, integrabile nel tempo, con opere che tornano ai loro proprietari alla scadenza del mandato, mentre altre entrano a sostituirle sotto l’attenta supervisione di un comitato scientifico. Il risultato di questo, talvolta frenetico, turnover di opere d’arte mantiene sempre vivo l’interesse per la Collezione. Offrendo al pubblico una visione non statica ma dinamica del nostro tempo, come quella degli artisti che attraverso di essa riescono a comprendere (e anticipare) quello che accade intorno a noi. Come la visione che ha, o dovrebbe avere, la diplomazia. Metodo Vattani, insomma.