In cover, Chloé Mazlo © Philippe Quaisse/UniFrance

Una panoramica di cineaste e attrici, note ed esordienti, per l’istantanea di un cinema creativo, vitale, plurale. Mette al centro lo sguardo femminile l’edizione 2021 di Rendez-vous, il festival del nuovo cinema francese , diretto da Vanessa Tonnini, che, dal 9 al 13 giugno, si dipana tra Roma, Bologna e Torino.

 

Tra le ospiti della kermesse, realizzata dall’Institut Français Italia e dall’organizzazione cinematografica UniFrance, c’è la giovane regista Chloé Mazlo con la pellicola Sous le ciel d’Alice, con Alba Rohrwacher, selezionata alla 59esima Semaine de la Critique di Cannes 2020.

Com’è nato questo film?

Il personaggio di Alice si ispira a mia nonna, ragazza svizzera che andò a lavorare a Beirut come infermiera negli anni ‘50, innamorandosi completamente di quei luoghi e di mio nonno. Sono cresciuta con le storie sul Libano raccontate dai miei genitori, da un periodo paradisiaco fino alla guerra civile. Il mio primo corto del 2010, Deyrouth, racconta un viaggio iniziatico verso Beirut alla scoperta delle mie radici. Negli anni ho

approfondito destini e ricordi familiari e, con il cosceneggiatore Yacine Badday, ci siamo trovati a maneggiare due mitologie diverse: la storia di una famiglia e quella di un Paese.

 

Perché hai scelto un’attrice italiana?

Cercavo una donna carismatica e gentile, che potesse dire molto senza parlare troppo. È stata una decisione presa con il cuore.

 

Perché, secondo te, questa edizione del festival si concentra sulle donne?

Qualcosa sta cambiando: ci si è resi conto che, per decenni, le registe sono state premiate meno dei colleghi uomini. C’è ancora molto da fare per non apparire un’eccezione, una minoranza e parlare del lavoro prima che del genere.

 

Com’è la situazione in Francia da questo punto di vista?

Le cifre parlano chiaro: solo il 26% delle pellicole è diretto da donne. Le possibilità non sono le stesse per tutti, ma non è solo una questione di genere. Esistono altre discriminanti che non vanno nascoste: molto dipende dall’ambiente sociale e familiare in cui si vive, dall’età, dall’esperienza. Fare un film è un viaggio di resistenza.

 

Secondo alcuni è anacronistico parlare di “sguardo femminile”. È ancora necessario?

Per me è una differenza solo biologica. La nostra visione del mondo è modellata da tanti fattori: nazionalità, esperienze, viaggi, religione, amicizie. Credo sia necessario, però, che le donne raccontino la loro storia: al cinema dobbiamo vedere sempre più spesso personaggi femminili che esistono a pieno titolo e non derivano da una fantasia maschile.

 

Perché ha scelto di fare film?

Per trovare risposte alle domande che mi pongo. Con Sous le ciel d’Alice, per esempio, volevo capire perché la mia famiglia non era mai riuscita a trovare unità dopo la guerra. Il mio sogno è che il pubblico provi nostalgia e si senta più vivo.

 

Di cosa ha bisogno il cinema oggi?

Di spettatori.

Articolo tratto da La Freccia