FSnews, e FS Italiane, ricordano e rendono omaggio a Gigi Proietti riproponendo una sua intervista alla Freccia del luglio 2018, firmata da Andrea Radic.
Si parlava anche di viaggi, in quell’incontro, e di quanto il treno lo rilassasse e gli concedesse tempo per pensare. Ora Proietti ha intrapreso il suo ultimo viaggio, del quale nessuno conosce con certezza la destinazione.
Noi lo immaginiamo però libero da ogni pensiero e, piuttosto, ancora mattatore poliedrico e istrionico con i compagni di viaggio e con chi troverà, giunto alla meta, dove un teatro – se una meta c’è – non potrà certo mancare. Allora lì si esibirà e continuerà a divertirsi, a divertire e a giocare, perché «il teatro è gioco … un luogo dove è meraviglioso accorgerti che puoi continuare i tuoi giochi infantili anche da grande e nessuno si scandalizza». Ecco, così: tornare di nuovo bambini e concedersi un altro giro di giostra. Perché il teatro è anche sogno e noi, del resto, siamo fatti della stessa materia. Proietti lo sapeva, anzi, lo sa.
Foto: Cosima Scavolini/LaPresse
«Una storia presto detta: nel 2003 era il centenario della donazione di Villa Borghese al Comune di Roma e il sindaco Walter Veltroni mi chiamò insieme ad altri chiedendoci di fare qualcosa nella Villa per la celebrazione», comincia subito il grande attore romano. «Pensai a un Romeo e Giulietta galleggiante nel laghetto, poi mi venne in mente di fare come in tante altre grandi città europee e americane, dove nella stagione estiva si rappresentano spettacoli classici, in particolare Shakespeare.
Così portai le foto del Globe di Londra, dopo cinque minuti ero al telefono con i fratelli Toti, grandi imprenditori edili, e in brevissimo tempo si cominciò a costruire, là dove non c’era nulla, un vero e grande teatro. «Non so in quanti abbiano lavorato giorno e notte, perché dopo due mesi e mezzo debuttai proprio con Romeo e Giulietta.
Nessuno ci avrebbe scommesso, tre ordini di palchi, oltre mille posti, non credevo ai miei occhi, mi sono ritrovato a dirigerlo e il pubblico in questi 15 anni ha imparato ad amarlo. Gli spettatori hanno capito che Shakespeare è tutt’altro che noioso».
Un teatro classico formativo.
Facciamo spettacoli anche al pomeriggio. Per esempio ora, Melania Giglio attrice di talento e nostra collaboratrice, sta scrivendo un testo sulla regina Elisabetta che è anche informazione storica e culturale.
Una stagione ricca, cosa le sta particolarmente a cuore?
La nostra linea è quella di proporre i grandi classici, cercando di rispettarne la struttura drammaturgica. Quest’anno abbiamo una nuova edizione e produzione della Bisbetica domata, poi Molto rumore per nulla, Otello, Sogno di una notte di mezza estate e La tempesta. Inoltre ospitiamo e in parte produciamo una giovane compagnia inglese, che metterà in scena Il mercante di Venezia in lingua originale. Anche in questo caso abbiamo provato e il pubblico ha risposto entusiasticamente.
Il Globe è un teatro popolare alto, perché Shakespeare è popolare.
È il terzo teatro che apro a Roma. Il Brancaccio (1.400 posti) era boccheggiante, l’ho tenuto per sette anni rifacendo anche le caldaie, poi il Brancaccino piccolo teatro sperimentale e il Globe. Oggi l’attività teatrale è vista con sospetto, tutti parlano di cultura, la annunciano, ma poi? Ecco qualcuno ci spieghi cosa intende dire con “finanzieremo la cultura” perché altrimenti si resta nel generico e arrivano solo briciole. Ma noi dobbiamo continuare, è molto importante avere teatri in città, è un fatto identitario, un collante per la comunità.
Un valore generazionale.
Moltissimi ragazzi frequentano il Globe, su un cuscino per terra assistono a spettacoli anche di tre ore rimanendo estasiati. È confortante.
Nel programma anche un festival di cortometraggi.
Sì, per parlare di teatro anche con altri mezzi espressivi. Un gruppo di giovanissimi realizzano dei cortometraggi, vediamo cosa ne esce, sono curiosissimo. Li premieremo in stile Golden Globe con il “Wooden Globe”, una targhetta di legno.
Foto: Gloria Fegiz
La curiosità è leva dell’arte?
Vero e lo dico spesso, è un pozzo senza fondo, le esperienze si fanno in tantissime direzioni, deploro aggettivazioni come teatro “di ricerca” o “di avanguardia”. La teatralità è ciò che sento di dover fare nel momento in cui lo faccio, è questa la libertà del teatro, dobbiamo lottare contro chi vuole erigere steccati. Se c’è una cosa ancora libera è l’arte.
Al cinema ha rappresentato la tipicità dell’italiano, c’è ancora quell’Italia?
Qua e là qualche residuo c’è ancora, come a Roma, la mia città, ma intorno è cresciuta la violenza. Un tempo un bullaccio romano era solo un bullo, oggi si è incattivito. Ma allo stadio resistono le battute di un tempo, come nel traffico cittadino… a proposito, a volte mi chiedo perché corrono tutti come matti ma ’ndo vanno (ride divertito, ndr), in una città industriale lo potrei capire, ma a Roma… ciò che non è cambiato di sicuro sono i tramonti, la luce e i colori, fermiamoci a guardarli, assicuro che fa bene.
Qual è il suo rapporto con il viaggio?
Mi spostavo in auto o aereo, ora mi sposto sempre in treno, mi rilasso, prendo appunti, arrivo a destinazione che ho fatto molte cose, è comodo. Il tempo è una cosa strana, hai davanti tre ore e sai che puoi usarle per pensare, cosa sempre più rara. Il Gastone di Petrolini diceva: «Io non penso, sono il divo dello spensiero...».
Il teatro e la tavola da sempre un binomio edonistico e culturale…
Non vorrei essere scortese nei confronti del teatro dicendo che lo facevo per poter andare a cena dopo lo spettacolo. Nel periodo di A me gli occhi please abbiamo sicuramente fatto la fortuna di due o tre ristoranti. Venivano amici a vedermi per mangiare insieme dopo, anche in 30, una fatica, ma che gioia infinita! Ancora oggi con alcuni musicisti che stanno con me da 40 anni ci vediamo a cena e, seppur con pudore, tiriamo fuori una chitarra…
Diversi suoi allievi la citano spesso come pilastro della loro formazione.
Avevo Il laboratorio, facevamo provini estenuanti e i corsi duravano due anni, da ottobre a maggio. Ci dovrebbe essere più teatro nelle scuole perché è un fertilissimo e piacevole veicolo di conoscenza. Molti ragazzi alla fine del corso facevano tesine su Sofocle, Shakespeare e Pirandello quando all’inizio non sapevano neanche cosa fossero. Ho toccato con mano quanto sia importante e delicata la didattica. I primi tempi provavo a insegnare esibendomi, gli studenti erano contenti, ma capii che era sbagliatissimo. Sono loro che devono usare come vogliono lo spazio dove lavorano, il teatro è gioco (che è l’opposto dello scherzo), un luogo dove è meraviglioso accorgerti che puoi continuare i tuoi giochi infantili anche da grande e nessuno si scandalizza. È stupendo.
Il profumo della sua infanzia?
Sono diversi. Direi quello dell’erba, perché abitavo in una zona periferica e quando mia madre non vedeva mi sfilavo per camminare sul prato. Il glicine, fragranza naturale, poi la frutta che oggi non odora più. Abbiamo perduto tanti profumi, ma quelli buoni restano, come la vecchia lavanda 711 con la quale praticamente mi lavo prima di andare in scena.
Il più antico teatro del mondo riapre alla musica ospitando, il 15 ottobre, l’esibizione di José Coca Loza
15 ottobre 2020