Abbiamo dedicato la cover di questo numero a un appuntamento sportivo di richiamo mondiale, qual è la Ryder Cup che si terrà a Roma tra fine settembre e inizio ottobre. L’edizione 2018, l’ultima giocata in Europa prima della sospensione causa Covid-19, ha raggiunto oltre 600 milioni di abitazioni con più di 160 Paesi collegati in diretta televisiva. I migliori golfisti del Vecchio continente gareggeranno sul green con i campioni statunitensi. 

Una sfida sportiva che inaugura una stagione, quella autunnale, che ne imporrà molte altre, su ben altri campi. Basti pensare agli effetti della situazione economico finanziaria in Cina, al perdurante conflitto in Ucraina, all’inarrestabile flusso migratorio dall’Africa, a quel che ruota attorno alle elezioni europee e a quelle presidenziali statunitensi del prossimo anno.

E poi c’è la sfida, o meglio le sfide, della sostenibilità che – come abbiamo voluto ricordare nel nostro strillo di copertina – vanno ben oltre il green e l’ambiente, ma che rischiano di essere trascurate a causa di altre urgenze contingenti. Il fine di una crescita sostenibile è progredire in benessere e prosperità ma senza lasciare ai nostri figli un’eredità di debiti, guerre, sacche di miseria, difficoltà e danni all’ambiente, all’economia e alla società. Tutti fattori che insieme minano la possibilità di continuare a svilupparci o, ancor peggio, mettono in discussione la futura sopravvivenza del genere umano. 

Occorre però ricordare che la sostenibilità è come il cavalletto di un pittore. Ha tre gambe, e sta in piedi soltanto se tutte e tre poggiano sul terreno. Difendere l’ambiente è fondamentale, senza però perdere di vista la sostenibilità sociale, ossia la lotta contro le disuguaglianze e la povertà, l’impegno all’inclusione e al confronto tra diverse opinioni, interessi e aspettative (anche quando progettiamo e costruiamo nuove infrastrutture). E lo è anche la sostenibilità economica. Non è sostenibile ottenere vantaggi su un fronte al costo di gravare di debiti le generazioni future, oppure distruggere – accelerando troppo certi processi – alcune filiere produttive, mettere così in crisi interi comparti economici e creare disoccupazione diretta e nell’indotto. Virtuoso, in questo non unico caso, è l’equilibrio, la capacità di non farsi fagocitare da impeti ideologici.

Come Ferrovie dello Stato cerchiamo di fare questo. Siamo green per natura e facciamo di tutto per esserlo sempre più, autoproducendo energia da fonti rinnovabili, migliorando la nostra efficienza energetica, sperimentando su linee non elettrificate biocarburanti molto meno inquinanti del gasolio, guardando al futuro, all’idrogeno, che già utilizziamo sui bus, in Olanda. Ma lavoriamo anche per essere sempre più inclusivi e sensibili ai problemi che affliggono la nostra società (su questo numero leggerete di una nostra iniziativa insieme al ministero della Giustizia), attenti al confronto con le comunità e i territori dove insistono i nostri cantieri, al welfare dei dipendenti, a generare valore economico, a usare i più adeguati e sostenibili strumenti finanziari per consentirci di portare avanti i piani di sviluppo. Sono sfide che richiedono impegno e precisione per centrare l’obiettivo, perché la nostra pallina da golf raggiunga, a uno a uno, tutti gli obiettivi del nostro Piano industriale. Un Piano che con 200 miliardi di euro in investimenti per dieci anni punta a costruire un sistema di infrastrutture, servizi di mobilità pubblica e logistica integrata resiliente, efficiente e sicuro. Così da rendere il nostro Paese più coeso, attrattivo e competitivo. Se riusciamo, la vittoria non sarà nostra, ma di tutti.