Foto apertura © Adobestock

Una casa nella risaia in mezzo a un campo bruciato. Un paesaggio tipico del territorio tra Biella e Pavia a settembre e ottobre quando, una volta raccolto il riso, tutto quello che non si può mangiare viene dato alle fiamme. Nasce da qui l’idea di Ricehouse, startup innovativa fondata da Tiziana Monterisi, architetta specializzata in edilizia naturale, e Alessio Colombo, geologo, che hanno pensato di riciclare i residui della lavorazione del riso trasformandoli in materiali edili e biodegradabili. «Abbiamo capito che quello che restava sul campo per noi poteva diventare una grande opportunità, una grande materia prima. Così, abbiamo iniziato a fare esperimenti finché, convinti della bontà del progetto, nel 2016 abbiamo pensato di creare l’azienda», spiega Monterisi. Un esempio perfetto di economia circolare grazie alla quale i fondatori hanno vinto il Compasso d’Oro, il più prestigioso premio dedicato al design italiano, e ricevuto una menzione speciale all’Eni Award 2022. Ricehouse ha infatti innovato la filiera dei sottoprodotti del riso, creando un’opportunità per realizzare nuovi materiali destinati a un’architettura sostenibile. La startup fa da raccordo tra il mondo dell’edilizia e quello dell’agricoltura, creando un’opportunità di rigenerazione che risolve il problema dell’impatto ambientale delle costruzioni e quello dello spreco di risorse agricole.

Ricehouse

Ricehouse © Barbara Corsico

Riso e architettura: da dove nasce questo binomio un po’ insolito? «Sono un’architetta con specializzazione in ecologia e da sempre cerco soluzioni naturali per rendere l’attività delle costruzioni non altamente inquinante come è oggi, ma sostenibile e rigenerativa. Poi, 20 anni fa sono andata a vivere nel biellese e il paesaggio della risaia mi ha suscitato tante domande. Ho imparato a conoscere questo prodotto e soprattutto i suoi scarti. L’Italia è il primo produttore di questo cereale in Europa e il 50% di tutta la lavorazione avviene tra Biella e Pavia».

 

Ricehouse ha un forte legame con il territorio, quindi. Collaborate con altre aziende della zona? «Certamente, è uno dei punti focali del nostro progetto. Siamo una startup innovativa, ma anche una società benefit: abbiamo la mission del profitto, ma vogliamo raggiungerlo in maniera etica, minimizzando l’emissione di CO2 e rispettando l’ambiente e la società. Per questo abbiamo cercato di creare una filiera sul territorio che parte dall’agricoltore e dagli stabilimenti che trattano il riso con processi industriali, per arrivare al mondo della trasformazione delle materie prime fino ai cantieri. Tutto avviene nel raggio di 300 chilometri: raccogliamo lo scarto della lavorazione del riso tra Biella e Pavia e realizziamo i nostri prodotti tra il Piemonte e il Veneto».

Startup Ricehouse

Ricehouse tetto di una casa

Il 2022 è stato per voi un anno ricco di riconoscimenti «Sì, davvero pieno di soddisfazioni. Abbiamo vinto il Compasso d’Oro: per la prima volta la giuria ha scelto di premiare un materiale e non un oggetto. E questo per noi è stato molto significativo perché focalizzarsi sulla materia anziché sul prodotto finito può veramente cambiare il mondo del design e dell’architettura. A ottobre, poi, abbiamo ricevuto dal Presidente Sergio Mattarella l’Eni Award 2022, con la menzione speciale Eni Joule for Entrepreneurship per l’innovatività e la sostenibilità del nostro progetto imprenditoriale. E, non ultimo, ho ottenuto poche settimane fa il premio Women for Women da Bain & Company, società di consulenza strategica: un riconoscimento che riassume i nostri tre pilastri di innovazione, sostenibilità e gender parity, che io promuovo fermamente all’interno dell’azienda».

 

Tanti premi, ma anche tanti risultati… «Sì, abbiamo realizzato già una cinquantina di edifici tra l’Italia e la Svizzera e più di cento cantieri hanno utilizzato i nostri materiali biodegradabili e con un impatto ambientale pari a zero».

Creatori di Ricehouse

Alessio Colombo e Tiziana Monterisi © Barbara Corsico 

Un progetto in particolare al quale siete legati? «A novembre abbiamo inaugurato un cantiere a Milano, in periferia, per un lavoro significativo di rigenerazione urbana su quattro torri di proprietà dell’Azienda lombarda per l’edilizia residenziale (Aler) di Milano. Le oltre 200 unità abitative del complesso, grazie agli incentivi statali, saranno completamente riqualificate dal punto di vista energetico per abbattere i consumi. È un progetto a cui tengo molto perché è partecipato dal basso: abbiamo lavorato per anni con gli inquilini prima di arrivare in cantiere. Oltre al cappotto termico in lolla di riso, saranno realizzati tetti a giardino per ricreare la biodiversità: in pratica questo edificio, nella sola fase di cantiere, andrà a sottrarre circa 250 tonnellate di CO2. Nei prossimi due anni, il Politecnico di Milano farà le valutazioni dell’impatto ambientale, mentre l’ateneo Iulm si occuperà di misurare la ricaduta sociale del piano, per capire come migliorerà la vita del quartiere e soprattutto degli inquilini. Un progetto sfidante e appassionante allo stesso tempo».

 

Il vostro obiettivo per il futuro? «Cambiare il mondo delle costruzioni: vorremmo che diventasse un settore veramente rigenerativo e non solo energivoro ed estrattivo. Non so se ci riusciremo, ma continuiamo a provarci con piccoli progetti. Un mattone di riso alla volta».