Peperone crusco di Senise © valfrutta.it

Croccante, buono e fa bene alla salute. È il peperone crusco, dalla forma conica e il color rosso intenso, soprannominato l’oro rosso della Lucania. Dal sapore dolce e la consistenza unica e inconfondibile, viene detto così perché nella fase finale di preparazione diventa croccante. La sua storia viene celebrata a Expo 2020 Dubai dal regista Gabriele Salvatores, che attraverso una serie di monografie in bianco e nero racconta le eccellenze artigianali del Paese all’interno del Padiglione Italia, dal 1º ottobre al 31 mar 2022.

 

Conosciuto in Basilicata come źafaranë crušchë, questo prodotto ha origini antiche e la sua preparazione vanta una tradizione secolare. Dapprima essiccato grazie all’effetto di aria e sole, viene poi sottoposto a uno shock termico. Lo si frigge in olio extravergine di oliva – bastano pochi secondi e un po’ d’attenzione per non bruciarlo – e lo si passa in freezer. Ma in Basilicata, durante la stagione invernale, lo stesso sbalzo termico si può ottenere dopo la cottura lasciando freddare i peperoni sulla finestra aperta. Una volta diventati cruschi possono essere trasformati in polvere, così che nell’idioma lucano vengono anche chiamati zafaran pisat, per la curiosa assonanza con la parola zafferano, che ne ricorda pure il colore.

Preparazione di una serta di peperone crusco © masseriagricolabuongiorno.it

Le origini di questo particolare peperone dolce, oggi riconosciuto tipico della Basilicata ma importato in realtà dalle lontane Antille grazie agli spagnoli, vanno ricercate intorno al 1600 nella zona del Parco del Pollino, in particolare nel territorio di Senise, in provincia di Potenza, dove cresceva e cresce ancor oggi. Qui, dal 1996, il peperone è riconosciuto come prodotto ortofrutticolo a Indicazione geografica protetta.

 

La sua polpa povera di acqua e il picciolo caparbio, che non si stacca più una volta indurito, permettono una facile conservazione. Per meglio essiccarlo all’aria aperta si procede a comporre le serte, tipiche collane intrecciate lunghe un paio di metri, confezionate con ago e filo dalle operose e pazienti donne lucane che con le loro mani comunicano tradizione, passione e sacrificio. Ogni serta racchiude anni di esperienza, giornate intere trascorse a infilare aghi, così da affidare le collane all’aria e al sole lucano per la necessaria essicazione dei peperoni prima che si trasformino in cruschi.

Risotto con peperoni cruschi e vincotto di Massimo Carleo © ditestaedigola.com

Una volta fritti vengono utilizzati in pezzi piccoli oppure interi per regalare note particolari ai piatti. Ma possono anche diventare un condimento saporito o essere usati come conservante naturale per i salumi tipici del territorio. La polvere rossa è perfetta per guarnire un risotto gourmet o arricchire di sapore un semplice spaghetto aglio, olio e peperoncino, per accompagnare i tipici rasccatell cu zifft, le carni rosse e il baccalà ma anche formaggi e verdure fresche, come fave e insalate.

 

E poiché in cucina non bisogna sprecare niente, con l’olio di frittura vengono preparati lo stoccafisso locale e le uova fritte (all’occhio di bue o strapazzate) a cui si può aggiungere la sausizz (salsiccia) lucana. Ma si può usare il peperone crusco in polvere anche per preparare una maionese aromatizzata o una salsa per farcire panini gourmet e accompagnare deliziose tartare di vitello. Inoltre, nulla vieta ai cultori di sgranocchiarli come patatine.

Cervello con peperone crusco di Nicola Batavia © sfizioso.it

Negli ultimi anni il peperone crusco ha conquistato il palato di numerosi chef, che l’hanno inserito in diverse preparazioni gourmet, lasciando la sua dimensione regionale per entrare prepotentemente nella gastronomia nazionale. Tra i primi a renderlo protagonista c’è Nicola Batavia, chef di fama internazionale, lucano di nascita e piemontese di adozione, che lo ha impiegato in una delle sue ricette più particolari: il cervello con peperone e piselli. Il cervello di vitello viene prima sbianchito, poi cotto velocemente con il burro e accompagnato da piselli sbollentati e riso basmati al curry, mentre i peperoni cruschi vengono aggiunti alla fine per regalare una croccantezza dal particolare sentore. Davvero sublime.

 

Un profumo di crusco che ritroviamo anche nel panino gourmet a base di pancia di vitello, preparato e farcito sempre da Batavia. In quello chiamato 11/06/2014 c’è del delizioso pastrami di vitello con peperoni cruschi, olio extravergine, acciughe e uovo di quaglia. Una lavorazione attenta, perché la pancia di vitello viene massaggiata con il curry per poi riposare in frigorifero almeno un giorno. A marinatura ultimata, il pastrami è cotto a bassa temperatura e poi affettato sottile per diventare protagonista di un panino dal gusto incredibile, accompagnato da senape, barbabietola essiccata, acciughe, cipolline, uovo di quaglia, tonno e, naturalmente, peperone crusco. Si può chiedere il bis, senza vergogna.

 

Per gli amanti della pasta, invece, ci sono gli ziti con peperone crusco, animella d’agnello e pecorino nella ricetta dello chef stellato Alessandro Mecca, sardo di origini ogliastrine. Dopo aver passato in centrifuga i cruschi e ricavato un’acqua concentrata condita con un trito di aglio, limone grattugiato e prezzemolo, si procede a mantecare gli ziti cotti al dente con l’acqua di crusco concentrata. Si dispone poi la pasta sul piatto, adagiando sopra le animelle d’agnello e facendo gocciolare la fonduta di pecorino lucano. Bontà pura.

 

Immancabile infine il risotto di Massimo Carleo, che a Potenza propone il suo piatto con peperoni cruschi e vincotto. Qui la particolarità è la guarnizione con il ketchup di peperoni di Senise Igp ottenuto emulsionando i cruschi in un minipimer con sale, zucchero e aceto, fino a ottenere una pasta liscia e omogenea.

 

Il viaggio gourmet alla scoperta delle ricette insolite che utilizzano questo prodotto non può che concludersi in una cucina di buongustai dove assaggiare una ricetta semplice della tradizione contadina: la pasta con peperoni secchi fritti e mollica di pane. È buon uso friggere pure la mollica, per esaltare ancor di più il morso scrocchiante, rumoroso, intenso e prolungato. In una parola, crusco.

Articolo tratto da La Freccia