In cover, Rita Levi Montalcini, Bologna (gennaio 2021) © Lediesis 

Ironiche, leggere e portatrici di libertà. Quella che non si rivendica perché è un diritto implicito. Al limite le si dà le sembianze di Margherita Hack, Rita Levi Montalcini o di una Madonna con bambina disegnate a colori accesi sul petto – giallo anni ‘80 e rosso pop – e incollate sui muri dei vicoli o negli angoli nascosti delle città.

 

Sono le Lediesis, giovane collettivo di street artist, rigorosamente anonimo, che sta tappezzando diversi centri cittadini italiani con eroine strabordanti di emancipazione, indipendenza e consapevolezza. Culturale, creativa, politica, scientifica, civica. In fondo la potenza dell’arte è anche questa: diffondere modelli che sono usciti dal perimetro e ci indicano la luna.

 

Cosa possiamo sapere di voi?

Siamo due amiche, una ha alle spalle studi accademici con l’obiettivo di poter vivere con l’arte. L'altra proviene dal mondo della comunicazione ma si è sempre occupata di mostre e spettacoli. In fondo, i due mondi collimano. La nostra forza sta esattamente nel congiungere questi due ambiti, apparentemente distinti, per creare insieme qualcosa di unico. Siamo molto affiatate, ci capita spesso di pensare la stessa cosa o inviarci un messaggio in contemporanea con un contenuto identico. E abbiamo una visione simile della vita e dei nostri progetti: voler trasmettere un messaggio importante attraverso la leggerezza, senza prenderci troppo sul serio. Il nostro leitmotiv è: «Il ruzzo salverà il mondo».

 

Il nome come lo avete scelto?

Giocando sia con il linguaggio social sia con quello musicale. Già nel pronunciare Lediesis è chiaro che si vuole rendere omaggio alle lady, non solo le grandi signore ma anche le sorelle anonime del mondo. Il diesis, invece, è un'alterazione della nota di base. Firmiamo le opere accompagnando il nome con l’hashtag. Insomma, tante sfumature in una sola parola.

 

Come avete cominciato?

L'idea delle Superwomen è nata per scherzo a gennaio 2019, durante una visita ad Arte Fiera a Bologna. Avevamo voglia di creare qualcosa che ponesse l’attenzione sulle donne, che in questo momento storico stanno prendendo sempre più consapevolezza delle loro capacità. È stata un'intuizione del tutto naturale e istintiva, senza alcuna aspettativa. La prima incursione è stata nella nostra Firenze, una delle città capofila della street art italiana, in occasione dell'8 marzo 2019: abbiamo attaccato otto icone femminili dentro alcune finestre cieche presenti nel centro storico, solo per il gusto di condividerle, omaggiarle e creare un momento di riflessione per tutti.

La giornalista Giovanna Botteri, Firenze (maggio 2020) © Lediesis 

Chi rappresentate?

Il nostro istinto e la ricerca di cambiamento si riflettono nella selezione dei personaggi che decidiamo di dipingere: eroine libere e illuminate capaci di offrire un messaggio positivo, di sviluppo individuale e crescita spirituale nella società. Ognuna di loro ha lasciato in eredità, nel suo campo, esempi e pensieri che è giusto condividere, ricordare, onorare. Tutte, confare sbarazzino, strizzano l'occhio a chi si ferma a osservarle, instaurando un legame intimo, amichevole e partecipe.

 

Perché la S di Superman sui vostri personaggi? Hanno poteri speciali?

Anche la scelta di dipingere il fiammeggiante simbolo sul loro petto, emblema principe del supereroe maschile, è avvenuta d'impulso, con l'idea di giocare sul ribaltamento e la disidentificazione dei ruoli. Sono tutte protagoniste consce delle loro capacità e strizzano l'occhio al passante in un gesto complice, come per dire: «Anche tu sei super, scopri qual è il tuo potere!».

 

Voi che tipo di donne siete?

Libere e in cammino.

 

Dopo le otto signore a Firenze, numero ricorrente nel vostro linguaggio, dove vi hanno portato le Super?

Sinceramente non ci aspettavamo il successo mediatico che abbiamo avuto. Questo ci ha incoraggiato e abbiamo percorso l'Italia da nord a sud per realizzare la mostra itinerante SuperWomen 8 Donne x 8 Città. Siamo partite l’8 marzo 2020 dal Museo archeologico nazionale di Napoli, esponendo otto icone femminili che sono state attaccate contemporaneamente in altrettante città italiane: Venezia, Milano, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari e L’Aquila. Volevamo realizzare una mostra che interessasse tutta la Penisola e si componesse poi come un puzzle. Il progetto ha avuto talmente successo che abbiamo cominciato a portare le nostre SuperWomen in giro per altri musei italiani. L’autunno scorso erano al Murate Art District di Firenze e questa estate dovrebbero approdare al Museo civico di Bari. L'otto per noi rappresenta il simbolo dell’infinito, della completezza e della perfezione: tutte caratteristiche insite nella natura femminile. Un numero esotericamente potentissimo che è diventato la nostra cifra.

 

La street art è una forma d’arte democratica, per tutti e aperta a tutti?

Ormai è completamente sdoganata all'interno della scena artistica italiana e internazionale, ma continua a conservare specificità solo sue: il contatto più diretto, informale e quotidiano con lo spettatore e la maggiore autonomia creativa e d’espressione. Per questo riesce a spingersi là dove gli artisti più tradizionali sembrano avere il timore di avventurarsi. È un mezzo di comunicazione con un’energia incredibile e il fatto che si concretizzi per strada è un motivo in più per veicolare messaggi positivi. Essere sotto gli occhi di tutti è una grandissima responsabilità.

 

Qual è la vostra tecnica?

Si chiama paste-up. Prima realizziamole nostre SuperWomen in studio con acrilico su carta velina, poi le attacchiamo sui muri. Cerchiamo spesso finestre o archi ciechi perché costituiscono una cornice naturale per le nostre opere, che possono così interagire con chi le osserva, come fossero persone affacciate a un balcone.

Che rapporto avete con la città, le strade, lo spazio pubblico?

Interveniamo sempre in spazi non autorizzati, cercando di valorizzarli. A parte l'anno scorso quando, con la fondazione Il Cuore si scioglie, abbiamo realizzato una campagna di raccolta fondi per progetti e iniziative di solidarietà e avevamo il permesso. La street art nasce illecita, l'arte urbana su commissione invece è un'altra cosa e ha origini ben più lontane, basti pensare ai murales eseguiti già un secolo fa dal pittore messicano Diego Rivera. Secondo la nostra sensibilità, quando si segue un criterio di estetica l'irregolarità è una costruzione mentale. Ci sono cartelloni pubblicitari molto più invasivi, ma sono in spazi affittati e quindi risultano consentiti.

 

A cosa serve l'arte?

È lo specchio dei suoi tempi. E oggi come non mai non può prescindere da funzioni civili, divulgative, educative.

 

Che spazio hanno le donne nell’articolato mondo del contemporaneo?

Uno direttamente proporzionale alla consapevolezza che ognuna ha di se stessa. Appropriarsi di uno spazio è una conseguenza di questo lavoro intimo.

 

Durante il lockdown cosa è successo alla vostra creatività?

È stato un momento molto produttivo. Per esorcizzare la paura del coronavirus abbiamo realizzato otto SuperBlack, che rappresentano donne simboliche come la Statua della Libertà e la Regina Elisabetta. Paradossalmente, doverci fermare ci ha fatte sentire molto più indipendenti perché scariche dagli obblighi della quotidianità. Il lockdown ci ha permesso di avere tempo per il nostro percorso e di focalizzarci su alcuni obiettivi. Abbiamo riflettuto molto sulla responsabilità individuale cercando di veicolare contenuti sociali con le nostre scelte artistiche.

 

Cos'è il coraggio?

Perseguire scelte diverse dall’ordinario e avere fiducia nell'ignoto.

 

L’eroina del futuro?

Quella che ci strapperà una risata.

 

Ultimamente tra i vostri personaggi ci sono anche degli uomini Super...

Oltre a Martin Luther King, i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e il medico e politico Pietro Bartolo, realizzati per la campagna di sensibilizzazione sociale Il Cuore si scioglie, abbiamo dipinto uomini che hanno giocato con il ribaltamento dei ruoli come Manuel Frattini nel musical Priscilla o Freddie Mercury nei panni della casalinga del video di I want to break free.

 

Il vostro prossimo viaggio?

Adoriamo viaggiare, ogni motivo è buono, soprattutto se è a scopo culinario. A volte abbiamo percorso centinaia di chilometri solo per andare a mangiare una torta Sacher o un riso con cozze e patate. Fissiamo una meta, ma durante il tragitto facciamo miriadi di deviazioni seguendo la nostra indole, quindi chi può dire dove ci porterà il prossimo viaggio?

 

A chi strizzate l’occhio?

A noi stesse e al nuovo mondo che verrà.

 

La notte è la vostra tela. Cosa vi aspettate dal buio?

Una bella colazione.

Articolo tratto da La Freccia