In cover Gruppo di giovani in campagna presso Traversa Firenze (15 settembre 1919)

Se è vero che viviamo nella società dell’immagine, il recupero e l’utilizzo (anche pubblico) di uno dei più grandi tesori fotografici esistenti in Italia diventa, a buon diritto, un’operazione non solo di politica culturale ma anche industriale.

 

A dare un futuro al patrimonio di immagini (davvero ingente) della Fratelli Alinari, la più antica azienda fotografica del mondo ancora in vita, sarà la Fondazione Alinari per la fotografia (Faf) creata dalla Regione Toscana lo scorso luglio con la missione di gestire l’archivio storico della vecchia società, acquistato dalla stessa Regione all’inizio del 2020. E adesso la Fondazione si prepara a pilotare un progetto, del valore complessivo di circa 15 milioni, che va oltre la dimensione territoriale, perché riguarda un patrimonio unico in grado di testimoniare quasi due secoli di storia italiana ed europea.

Fondata a Firenze nel 1852 da Leopoldo, Giuseppe e Romualdo, la Fratelli Alinari è stata una delle prime aziende dedicate alla fotografia e alla comunicazione per immagini. Leopoldo, fondatore dello studio fotografico fiorentino, venne assunto poco più che bambino dal ricco calcografo Giuseppe Bardi. Verso il 1850 cominciò a diffondersi in Italia la fotografia e Bardi spinse il giovane allo studio di quell’arte, organizzando un laboratorio nei pressi del negozio e subito dopo una terrazza di posa. Nel 1952, sempre grazie all’aiuto economico del datore di lavoro, Leopoldo riuscì ad aprire il suo primo laboratorio, in via Cornina, a pochi passi dallo stabilimento di Bardi, dove nel frattempo iniziò a vendere le sue fotografie. L’anno successivo, Giuseppe e Romualdo entrarono in società con il fratello maggiore.

 

I tre si dedicarono subito alla riproduzione delle opere d’arte, campo in cui la Casa Alinari costituì un caso esemplare per la lunga ininterrotta attività (1850-1920) e per l’impegno in favore della diffusione dell’arte a fini culturali. Durante il periodo in cui Firenze fu capitale del Regno d’Italia (1865-1871), il lavoro divenne tale da richiedere l’impegno di decine di aiutanti. Nel 1865 Leopoldo morì, a soli 33 anni, lasciando l’azienda ai fratelli. Nel frattempo era subentrato anche suo figlio, il giovane Vittorio. Fra la fine e l’inizio del secolo, gli Alinari ebbero negozi a Firenze, Roma, Napoli, Venezia e corrispondenti a Parigi, Bruxelles, Dresda e Marsiglia.

Vittorio intensificò l’attività editoriale con la pubblicazione di numerose guide turistiche e volumi d’arte, promuovendo concorsi tra gli artisti, come quello per l’illustrazione della Divina Commedia, e ancora con l’organizzazione di campagne di rilevamento fotografico a vasto raggio in ogni angolo d’Italia. Inoltre, si occupò dei problemi collegati al diritto d’autore relativo alla fotografia. Dopo la morte del figlio Carlo, nel 1910, l’unico che avrebbe potuto garantire la continuità della famiglia alla guida dell’impresa, Alinari ridusse progressivamente la sua attività e nel 1921 cedette l’azienda a una società costituita da alcuni intellettuali fiorentini, che continuò l’iniziativa.

 

Oggi l’archivio Alinari conta oltre cinque milioni di documenti e sarà presto messo a disposizione del pubblico grazie all’intervento della Regione Toscana, che ha deciso di salvare questo tesoro culturale dalla crisi dell’azienda madre. La società guidata da Claudio de Polo era andata in difficoltà per i cambiamenti del mercato, dopo che anche la joint venture Alinari-24Ore, creata nel 2007 con il Sole 24Ore per gestire l’archivio, era finita in liquidazione e l’azienda era stata costretta a vendere la storica sede fiorentina di Largo Alinari, la piazzetta a due passi dalla stazione di Santa Maria Novella a cui ha dato il nome.

Spettatori all’Ippodromo delle Cascine, Firenze (1900-1905 circa)

La Soprintendenza toscana, temendo il peggio, nel dicembre del 2018 aveva deciso di sottoporre a divieto di esportazione l’intera collezione di immagini della società: 448.532 scatti vintage, 473.267 negativi su lastra di vetro, 1.646.089 negativi su pellicola b/n, 24.762 libri e riviste sul tema, 400 apparecchiature fotografiche e obiettivi, 125 fondi di archivio acquisiti dagli Alinari nel corso del ’900 contenenti materiale fotografico datato dal 1860 a oggi e un patrimonio di oltre 200mila immagini digitalizzate.

 

A fine 2019 l’annuncio: la Regione s’impegnava a rilevare tutto l’archivio, valorizzarlo e renderlo fruibile. A gennaio di quest’anno la firma dell’operazione e la conferma che la nuova sede del Fondo Alinari sarebbe stata Villa Fabbricotti, una residenza storica di proprietà regionale, dove infatti sono partiti immediatamente i lavori di restauro e ristrutturazione. A luglio 2020, nonostante l’emergenza Covid-19 e i mesi di lockdown, è nata appunto la Faf, per gestire l’intero progetto, compreso un museo dedicato alla fotografia.

«Abbiamo evitato che un patrimonio culturale e storico immenso potesse disperdersi. Così invece l’archivio Alinari resterà pubblico e chiunque potrà consultarlo», commenta Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana. Per garantire la fruizione di questo tesoro iconografico sarà allestito un nuovo museo a Villa Fabbricotti, palazzo fiorentino del ’300, nel tempo residenza di personaggi storici come la regina Vittoria d’Inghilterra e le sorelle di Napoleone, Elisa Baciocchi e Paolina Bonaparte.

 

«Con la nascita della Fondazione Alinari per la fotografia è partito un nuovo capitolo di una grande storia. È un’operazione di politica culturale e sono sicuro che assumerà un grande valore anche sotto il profilo economico», conclude Rossi.

 

La Fondazione, dunque, si occuperà di amministrare il patrimonio documentario, che comprende la biblioteca e l’archivio cartaceo, i materiali, le attrezzature e la strumentazione tecnica, compresi la stamperia d’arte, l’archivio digitale con relative banche dati, i sistemi di gestione e di stoccaggio, i marchi e i diritti d’uso delle immagini riprodotte in numerosi formati. La Regione ha assicurato un fondo di dotazione di 50mila euro e un fondo di gestione di 600mila per il 2021 e di altri 600mila per il 2022.

«La nascita di questa realtà fa ben sperare per il futuro dell’importante collezione, che sarà messa a disposizione di tutti: il nostro obiettivo è quello di promuovere e sviluppare la conoscenza di un patrimonio, che è una fonte storica davvero straordinaria», sottolinea Claudio Rosati, amministratore unico della Fondazione, museologo ed ex dirigente della Regione, che ha il compito di accompagnare la nuova istituzione alla piena operatività.

 

La nuova avventura del tesoro Alinari sta dunque muovendo i primi passi. Ma la strada è già tracciata. Lo statuto prevede che siano organi della Fondazione il presidente, l’assemblea (che avrà un numero di componenti compreso fra tre e sette), il consiglio di amministrazione (che avrà lo stesso numero di membri e nominerà il presidente scegliendolo tra i suoi componenti), il comitato scientifico composto da tre persone e il revisore unico. Le cariche di presidente, di membro del consiglio di amministrazione, di componente dell’assemblea, del comitato scientifico non sono remunerate. Ci sarà anche un direttore, selezionato con bando pubblico e nominato dal consiglio di amministrazione. E ci sono cinque milioni di immagini da custodire e far vedere.

 

Articolo tratto da La Freccia di settembre 2020

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