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«Ogni favola è un gioco che si fa con il tempo. Ed è vera soltanto a metà». Così cantava Edoardo Bennato, anche se la fiaba della sua vita non ha accadimenti di fantasia, è pura realtà. «La mia storia non è diversa da quella di tanti ragazzini che lasciano il Sud per fare qualcosa nel campo della musica», racconta il cantautore partenopeo, che a 77 anni sta girando l’Italia con il tour Le vie del rock sono infinite. «Avevo questa velleità e così mi iscrissi alla facoltà di Architettura a Milano per poter frequentare le case discografiche». Da lì, un periodo di durissima ed estenuante gavetta con (tra gli altri) Mara Maionchi, Lucio Battisti e Mogol. Fino alla realizzazione, nel 1973, del primo album Non farti cadere le braccia. «Un lavoro introspettivo, la title track era rivolta a me stesso. Cercavo di non abbattermi», spiega il musicista. Il progetto prende forma nella sua testa al ritorno da Londra, mentre ascolta il disco Tumbleweed Connection di Elton John: rimane estasiato dall’orchestra che si muove in modo ritmico e ripropone la stessa idea nel suo debutto rock sui generis. I tempi, però, non sono maturi. «Dopo qualche settimana, il direttore della Ricordi mi dice che i dischi erano sugli scaffali ma le radio e le televisioni trovavano la mia voce sgraziata. Loro, come discografici, non potevano farci niente. Così, mi invitò a continuare l’università e a cambiare mestiere».

Ma in ogni fiaba che si rispetti l’eroe non si abbatte e cerca una soluzione alternativa. Bennato, nello specifico, si piazza di fronte alla Rai con tamburello a pedali, armonica, chitarra e kazoo per trasformarsi in un one man band, come aveva visto fare in Inghilterra. «Mi inventai pezzi punk, provocatori e schizofrenici nei confronti di una società che si proclamava lucida e perbene ma non lo era. Anticipai i tempi». Da quella posizione strategica vide passare tante persone, tra cui il direttore di Ciao 2001, all’epoca il magazine più letto dai giovani: «Mi iscrisse a un festival alternativo a Civitanova Marche, Sanremo all’epoca era considerata come una recita parrocchiale. Erano altri tempi. Diventai rappresentante dell’insoddisfazione giovanile e partecipai a tutte le kermesse politicizzate in Italia. Arrivò la fama, il direttore della Ricordi mi richiamò e mi fece fare un 45 giri: I buoni e i cattivi». Da quel momento in poi il ragazzo di Napoli vola nei cieli della musica come un Peter Pan moderno, senza mai dimenticare il suo lato bambino, usato come veicolo per descrivere, in modo ironico e autoironico, ipocrisie e idiosincrasie della società. Chi non ricorda album cult come Burattino senza fili, Uffà! Uffà!, Sono solo canzonette e Pronti a salpare?

E lui è già salpato da un pezzo per il suo tour che tocca Torino il 13 novembre per poi proseguire per Bari (16), Catania (20), Genova (4 dicembre), Ancona (7), Isernia (15) e Legnano (18). Un imperdibile momento per vedere quel ragazzo (ancora punk) cantare brani sempreverdi, adatti a ogni generazione.