Azzeccare il titolo di un articolo o lo strillo di una cover è un mestiere, ma talvolta basta una fulminazione. Fatti salvi alcuni gioielli, frutto per lo più di fantasiosi e ironici calembour (ma vale soprattutto per vignette e articoli), quando si deve cercare la sintesi di un’intera rivista, tutt’altro che monotematica, la sfida è complessa. A volte ci riusciamo, talvolta però il giorno dopo. È successo a marzo, quando l’editoriale di apertura, ancorato sulle tragiche vicende della cronaca, e interrogandosi sulla irredimibile convivenza di santità e bestialità in un unico genere vivente, contrastava con lo scanzonato sorriso del protagonista della cover, Fiorello. Lo strillo migliore sarebbe stato L’antidoto dell’allegria. Con riferimento alla quotidiana dose mattutina che lo showman ci somministra in tv. Una modalità che non è mettere la testa sotto la sabbia ma è la capacità, di tanto in tanto, di estraniarsi quanto basta per vedersi meglio, e non prendersi troppo sul serio. Quest’ultima attitudine fonte di tanti umani guai. È capacità di ridere del nostro pressapochismo e della nostra stessa vanità, e soprattutto di quella del potere, fino a ridicolizzarlo. In piccolo, ridotto a varietà, è Il grande dittatore di Charlie Chaplin. 

Non sempre un’allegria sterile, dunque. E poi sì, c’è pure una componente di vacuità, di cui non dobbiamo vergognarci. Serve a sopravvivere, almeno ponendola come intervallo tra mestizie e gioie, sorprese e routine, tragedie e commedie, ininterrotte sinuosità che compongono la nostra esistenza. Questa volta, forse, ci siamo riusciti il giorno prima. Lo strillo Affamati di vita è mutuato dall’intervista a Chiara Francini, protagonista della cover di aprile. Ci è sembrato sintetizzasse bene, se non tutti, molti degli articoli di questo numero. Sintetizza quanto di meglio sprigiona la primavera, rappresenta il desiderio laico di affermarsi e risorgere dopo ogni caduta, e quello religioso della Pasqua. Come la cristiana resurrezione dalla morte e nascita a vera vita. O l’ebraica liberazione dalla schiavitù. 

E, tornando a più laiche riflessioni, di schiavitù da cui liberarci ne abbiamo tante. Così subdole e irriconoscibili che non le percepiamo più neppure come tali. Essere affamati di vita significa anche armarsi di ottimismo, scommettere sul futuro, anche costruendo infrastrutture e ponti, creando posti di lavoro e introducendo nuove tecnologie. Significa, individualmente, aver voglia di ascoltare, vedere, scoprire. E poi sperimentarsi e rischiare, lottare per realizzare un sogno, dare spazio a chi non ce l’ha, regalare e regalarsi emozioni. Significa leggere e viaggiare. E La Freccia cerca come sempre di essere ispirazione e compagna discreta dei vostri viaggi.